Il peggioramento del riscaldamento globale è sotto i nostri occhi: non passa giorno senza un nuovo disastro da qualche parte, Italia inclusa, e persino in California – lo stato più ecologico degli Usa, governato da Jerry Brown, un democratico ambientalista e socialista – Los Angeles ha «bruciato» per molte settimane, facendo centinaia di morti. Un grido d’allarme è stato levato dagli scienziati del clima: «Ci restano solo 12 anni, da qui al 2030, per invertire la rotta», hanno affermato tutti gli esperti, in particolare quelli delle Nazioni Unite. «Se non saranno drasticamente e rapidamente ridotte le emissioni dei gas climalteranti, soprattutto il CO2, i mutamenti climatici avranno conseguenze irreversibili sul nostro ecosistema», specie nei paesi del Sud, più poveri e più esposti alle conseguenze del global warming, del quale sono i meno responsabili – carestie, siccità, scioglimento dei ghiacciai, distruzione della barriera corallina, depauperamento delle specie, migrazioni forzate a causa di inondazioni e altre catastrofi naturali.

L’obiettivo principale dovrebbe dunque essere mantenere la temperatura media mondiale entro 1,5 gradi, 2 al massimo, come stabilito nell’accordo di Parigi del 2015, tenuto conto che in diverse parti del globo questo limite è già stato superato. La recente Conferenza delle parti (Cop 24, Katowice, Polonia, 3-14 dicembre 2018) non ha fatto nessun passo in questa direzione, avendo incontrato fin dall’inizio l’opposizione dei governi dei 4 paesi che insieme producono la metà circa del petrolio su scala mondiale – Usa, Russia, Arabia Saudita, Kuwait, cui si è subito aggiunto il Brasile del presidente Bolsonaro. Secondo loro, il pericolo denunciato dagli scienziati è solo una possibilità, rispetto alla quale non serve fissare obiettivi comuni, vincolanti, cadenzati nel tempo. I delegati dei paesi del Sud e della società civile si sono opposti ma inutilmente, come succede dal 1995, data della prima Conferenza delle parti, e hanno dovuto ripiegare sulla richiesta quasi sempre inevasa di compensazioni finanziarie e trasferimento di tecnologie da parte dei paesi del Nord e delle Nazioni Unite.

E’ accaduto in Polonia quel che era già accaduto in tutte le Cop precedenti: i passi avanti sono procedurali, mentre il disastro procede a passi da gigante. La biosfera può sopravvivere a sconvolgimenti climatici drammatici come quelli attuali, ma lo stesso non si può affermare per le specie viventi. Come è pertanto possibile che si continui ad affidare la soluzione di un problema tanto complesso come la transizione energetica dal fossile alle rinnovabili, a chi ne è la causa? E’possibile perché si è formata una alleanza tra chi inquina e chi è inquinato, tra i produttori di merci e servizi energivori spesso inutili, che soddisfano bisogni indotti, e i consumatori del Nord – e sempre di più anche quelli del Sud – drogati dal consumismo di massa, imperante nella società capitalista.

Questa deriva è oggi grandemente favorita dal venir meno di una sinistra europea e mondiale, capace di difendere gli interessi dei più. Per rinascere, i partiti di sinistra devono riprendere la critica del capitalismo e favorire la rinascita di una nuova cultura fondata sulla solidarietà e sulla cooperazione, come quella proposta da Papa Bergoglio, secondo cui lo sfruttamento delle persone e quello della terra sono due facce della stessa medaglia. Per invertire la rotta, occorre un cambiamento radicale delle coscienze, che renda desiderabile rifiutare il consumo di massa, per dirla con Alexander Langer. I beni comuni naturali – quelli legati ai quattro elementi identificati da Empedocle – acqua, terra, aria e fuoco – esprimono un sistema di valori alternativi a quelli del capitalismo distruttivo della natura e delle persone, e sono pertanto un orizzonte di futuro possibile. Ma possono esserlo solo nella misura in cui favoriscono pratiche normate di democrazia diretta, integrative e non sostitutive della democrazia di mandato, che resta finora l’unico modello di democrazia, ancorché imperfetta e sempre meno rappresentativa.