Quanti immobili storici giacciono abbandonati nel Mezzogiorno tra l’incuria ed il degrado, spesso per l’oggettiva incapacità delle proprietà di provvedere?

Purtroppo quasi sempre i proprietari – privati o pubblici – respingono la disponibilità di associazioni e cittadini organizzati per restituire alle comunità la fruizione sociale e culturale del patrimonio artistico del territorio.

Così ecco due storie di bellezza restituita alle persone che rischiano di chiudere i battenti, in Campania. E’ quanto sta accadendo a Napoli, dopo la richiesta del Vaticano di riscuotere il 50% sui biglietti dei turisti in visita alle Catacombe di San Gennaro. L’accesso alle Catacombe, prima dell’intervento di associazioni, comitati e del prete del Rione Sanità era impossibile, con la chiesa sconsacrata adibita a deposito ospedaliero ed il degrado del quartiere. Dopo anni di lavoro per il recupero e la gestione del sito, le Catacombe di San Gennaro sono entrate nel flusso turistico partenopeo, e così la cooperativa la Paranza è riuscita a dare lavoro e dignità a cinquanta ragazzi e ragazze di un rione difficile come la Sanità.

A difendere l’esperienza delle Catacombe è sceso in campo tutto il quartiere, con una petizione (che raccoglie ogni giorno migliaia di firme) a papa Francesco.

L’altra storia è quella della Chiesa di Sant’Elena, pertinenza della Reggia Borbonica di Caserta, dove Luigi Vanvitelli per seguire messa si era fatto aprire un palco privato che da casa affacciava sulla navata. La “Chiesetta”, abbandonata, semisommersa da fango e detriti, fu riaperta nel 1992 grazie a Neroenonsolo! l’associazione antirazzista cui il Vescovo Raffaele Nogaro affidò l’immobile. Neroenonsolo! e la Chiesetta hanno superato insieme anche attentati incendiari, come quello accaduto alla vigilia del processo che poi condannerà per istigazione all’odio razziale alcuni componenti del “comitato per la difesa delle forze dell’ordine”, protagonisti di scontri nei quali morì un giovane ghanese.

In tanti anni, oltre ventimila immigrati assistiti, un progetto di recupero architettonico presentato dall’associazione all’Ufficio Sostentamento Clero nel 1997 (senza esito), l’apertura di uno spazio culturale che ha visto muovere i primi passi di artisti, attori e scrittori oggi in primo piano sulla scena nazionale, dimostrano la validità del lavoro dei volontari. Ma ora il nuovo Vescovo chiede a Neroenonsolo” di liberare la Chiesetta, «tenendo presente il precario stato della cappella e le sollecitazioni della Sovrintendenza».

Ma, “da Sud”, le esperienze positive non mancano. Il Comune di Napoli ha puntato sulla partecipazione per aprire gli spazi storici inutilizzati alla città, come nel caso dell’ex Asilo Filangieri, che oggi ospita tra l’altro cinema di qualità, teatro, cabaret. Con diverse delibere, la giunta De Magistris ha prima riconosciuto il valore dei beni comuni e poi stabilito forme di gestione partecipativa e diretta delle comunità, indipendentemente dal titolo di proprietà. Così dopo l’”Asilo”, gli spazi ascrivibili ai beni comuni sono diventati otto, tutti autogestiti con regolamenti di uso civico in diversi quartieri della città.

Altra esperienza è quella della Fondazione Con il Sud. Con “Il Bene torna comune”, il bando storico-artistico e culturale giunto alla sua quarta edizione, si chiede ad amministratori e proprietari di aprire i beni alle proposte di valorizzazione del terzo settore, affidandone la valutazione alla Fondazione stessa. Una sfida ardua perché va oltre, per l’interesse di tutti, le aspettative dei proprietari spesso più attenti alla “vicinanza” dei soggetti gestori che alle loro effettive capacità e proposte. Fino ad ora la Fondazione è riuscita a sostenere 28 progetti, senza che i proprietari conoscessero preventivamente né le attività che sarebbero state realizzate nel bene, né chi le avrebbe promosse. Altri 13 esperienze sono ora sulla linea di partenza, in tutto il meridione.

Allora attrarre risorse per restituire beni comuni alle comunità è possibile, a patto di superare l’immobilismo di logiche proprietarie passive e conservatrici.

Una politica per i beni comuni dovrebbe coinvolgere mecenati, istituzioni pubbliche, terzo settore, cittadini organizzati per un patto di rinascita del patrimonio culturale ed artistico del Mezzogiorno. Ma lo Stato deve fare la sua parte. L’Art Bonus è uno strumento che utilizza il credito d’imposta per incoraggiare i mecenati, però nel Mezzogiorno non decolla. Su oltre 200 milioni di euro raccolti, i monumenti del Sud hanno ricevuto meno del 2%.

Le ragioni vanno dalla scarsa fiducia nell’ amministrazione pubblica, alla minore presenza di ricchezza, visto che i grandi donatori in Italia sono le fondazioni bancarie e i gruppi industriali che hanno sede al Nord e spesso dimostrano di avere una visione molto ristretta, come se i loro utili non si generassero in tutto il paese. Perché allora, ministro Bonisoli, non costruire un fondo nazionale di perequazione, sul principio della clausola 34%?

*Presidenza nazionale Arci