Hope, acronimo di Hackers On Planet Earth, è la tre giorni di conferenze su tema dell’hacking, della privacy, della sicurezza, creta da Emmanuel Goldstein e che si svolge a New York ogni due anni, all’Hotel Pennsylvania, nel cuore di Manhattan.

La sua prima edizione risale al 1994, da allora durante questi tre giorni, due piani dell’albergo si trasformano: ci sono sale per le conferenze, i seminari, i laboratori, un’ala è dedicata ai banchetti degli espositori, ai banchetti informativi, ci sono zone per poter lavorare in gruppo, un’area di riposo con cuscinoni e sdraio e hacker seduti o accampati. ovunque per lavorare ai propri progetti o collaborare a quelli altrui.
Hope è uno di quegli appuntamenti in cui si fa il punto della situazione. «I temi generali della conferenza li dettano le proposte di intervento che ci arrivano – dice Rob Vincet, parte del gruppo di 2600 che organizza Hope – molti temi sono ricorrenti, la privacy lo è da anni, ma ci sono anche altri temi che si stanno affrontando, come quello del bio-hacking, visto che ora è più semplice poter esplorare questo campo da soli oltre che in un laboratorio».

Con bio hacking si intendono esperienze in cui, tramite la rete o costruendo laboratori a cui chiunque possa accedere e partecipare, si cerca di rendere la biologia collettiva e aperta; allo stesso tempo si mettono in discussione la ricerca e la pratica dei grandi operatori delle scienze biologiche, comprendendone gli schemi e rendendoli accessibili e partecipativi. C’è bisogno di consapevolezza e di conoscenza e sfatare il mito secondo il quale, in biologia molecolare, la ricerca seria si possa fare solo in contesti da Ivy League; come per tanti altri settori, l’innovazione potrebbe arrivare sempre meno da quei luoghi irraggiungibili e blindati e sempre più da contesti più dinamici.

Ci sono diversi apporti su questo tema ad Hope, come quello di Kevin Chen, un biochimico e biohacker, tra i fondatori della comunità di DIYbio di Montreal, Bricobio ma anche Ceo e cofondatore di Hyasynth Bio, una startup biotecnologica che sta producendo cannabinoidi utilizzando lievito geneticamente modificato. C’è stato anche l’intervento di Sebastian S. Cocioba, ricercatore di biologia vegetale indipendente per la biotech non-profit Binomica Labs, il cui lavoro si concentra sullo sviluppo di strumenti biologici open source e programmi per permettere agli studenti di ogni età e provenienza economica di possedere strumenti e risorse per perseguire le proprie ricerche in modo strutturato.

Il newyorchese Ben Dubin-Thaler, invece, che, dopo aver completato la laurea in fisica e matematica, così come il dottorato in biologia presso la Columbia University, ha creato il BioBus per avvicinare fisicamente la scienza ai non scienziati, ricevendo, per questo, numerosi premi e riconoscimenti per l’eccellenza nella ricerca e nell’insegnamento.

L’australiano Mark Fahey, invece, è uno specialista di informatica biomedica che sviluppa soluzioni cliniche di auto medicazione. «Alcuni stanno producendo tessuti dai funghi – racconta Rob – altri stanno focalizzando la propria ricerca nei sostituti del petrolio e della plastica, questo perché i temi dell’ambiente sono i temi più sentiti ed è intrinseco nell’approccio hacker, se vede un problema, trovare soluzioni». Dello stesso parere è anche Gizero, hacker italiano trapiantato a San Francisco dove lavora ad Internet Archive, libreria digitale non profit il cui fine è permettere «l’accesso universale alla conoscenza».

Gizero è un ingegnere informatico, parte della comunità hacker italiana e di Indymedia, «Ad internet archive ho trovato il compimento di tutte le mie anime da quella smanettona a quella politica. Ho la fortuna di poter lavorare in una impresa etica che non mi fa entrare a compromessi con ciò in cui credo. A questo proposito, anche per difendersi, anche per difendersi da se stessi, ho trovato molte risposte nell’intervento di Cory Doctorow».

Cory Doctorow è stato il nome più di spicco di Hope 11; romanziere di fantascienza, blogger, attivista , è il co-editore del weblog Boing Boing, collaboratore tra gli altri, di «The Guardian», e «Wired», e consulente speciale per la Electronic Frontier Foundation. «Quando si scende a un compromesso, poi si scenderà a compromessi più grossi – ha detto Cory nel suo intervento – quello che accadrà è che ci si confronterà non con il se stesso delle origini, ma con quello che è sceso al compromesso precedente. Spesso si compiono brutte azioni non perché si ha un piano malvagio, ma perché magari, hai fondato una impresa in cui lavorano 20 persone che hai convinto a credere in te, e quindi se sei ricattabile, cedi al ricatto e metti una backdoor nel tuo software. Devi renderti non ricattabile, ad esempio licenziando il tuo codice come Gpl (licenza per cui un’opera protetta da GNU GPL deve rimanere libera, anche col susseguirsi delle modifiche e deve continuare a garantire ai suoi utenti la libertà di agirvi e ridistribuirlo). Bisogna pensare a se stessi come a qualcuno che si mette a dieta: butta tutti i biscotti che hai in casa, perché al momento resisti, ma una sera, in calo di zuccheri, potresti li divorarli».