Poche ore prima della resistibile ascesa alla Casa Bianca di Donald Trump un’altra America faceva sentire la sua voce nell’Aula Magna della Sapienza per la stagione dei concerti della Iuc. L’America illuminista di un compositore che nel 1971 aveva escogitato una macchina del desiderio molto matematica e molto propulsiva e sovversiva.

Drumming è rimasto un po’ il manifesto del primo Steve Reich. Quando l’idea della ripetizione di un nucleo sonoro-ritmico con slittamenti nel tempo che producevano una moltiplicazione e poi una nuova essenzialità di questi nuclei era applicata nella sua radicale concezione.
Quello di Steve Reich sosteneva la rivolta contro certi dogmatismi dell’era seriale, una rivolta contro l’avanguardia come formula e norma. Ma era a sua volta avanguardia, se la vogliamo chiamare così.

I nuclei sonori in Drumming sono sostanzialmente battiti. Quattordici percussioni hanno il ruolo principale, ma in alcuni punti intervengono due voci femminili e un ottavino con la funzione di fondersi con i suoni degli strumenti a percussione per produrre una qualità timbrica particolarissima. Ecco, qui troviamo una prima differenza tra l’interpretazione che di Drumming ha dato alla Sapienza l’Ars Ludi Ensemble e l’interpretazione classica, fondamentale, da tutti ricordata, e cioè quella registrata da Steve Reich & Musicians per la Deutsche Grammophon.

Le voci di Laura Polimeno e di Paola Ronchetti e l’ottavino di Manuel Zurria erano ascoltabili più distintamente, certo non fuori dall’unisono con marimbe o glockenspiel, ma con una sorta di loro autonomia e di loro più accentuata melodicità. Questo è stato un aspetto della impostazione complessiva dell’interpretazione. Che, prima di tutto, era una assoluta novità per il fatto di essere accompagnata per ogni momento delle quattro sezioni in cui è suddivisa l’opera – bonghi intonati/marimbe/glockenspiel/assieme di tutti – da un video anch’esso diviso in sezioni firmato da Luca Brinchi, Maria Elena Fusacchia, Daniele Spanò e Maddalena Parise.

Come si può definire l’interpretazione? Meno illuminista e più popolare? Ma no, diciamo più festosa, più animata, più calda rispetto all’astrattezza (vivissima) dell’originale. Difficile prendere partito tra i due modelli. Ars Ludi ha cercato l’evento e l’ha ottenuto ad alto livello sollevando l’entusiasmo di un pubblico largo, speciale per un concerto di «contemporanea».

Ars Ludi nella versione Ensemble è il risultato dell’espansione del gruppo storico di tre percussionisti detentori del marchio – Antonio Caggiano, Rodolfo Rossi, Gianluca Ruggeri – ad altri sei percussionisti: Simone Buttà, Tiziano Capponi, Giulio Cintoni, Andrea Montori, Luca Paolucci, Matteo Rossi. Su Drumming i dodici musicisti hanno operato con compassata nonchalance. Decisi a non essere reichiani più di tanto. Chiaro che lo spettacolo (perché di questo si è trattato) con il filmato live tutto costruito con segni grafici in movimento, linee verticali e orizzontali, cerchi, allargamenti e restringimenti di figure astratte, ha accresciuto gli aspetti suggestivi .

C’è da dire, piuttosto, che lo spirito «mediterraneo» degli interpreti ha fatto perdere qualcosa anche in emozioni dell’ascolto. I tempi sempre sostenuti hanno tolto qualche gioia del puro timbro, del nudo suono secco e bastante a se stesso. Così come nella sezione dei soli glockenspiel un’aura di incantamento (pur sempre razionalistico) è mancata, se ne sentiva il bisogno. Quisquilie. Forse.