Le sardine sono diventate il simbolo della protesta. La specie Sardina pilchardus, che deve il suo nome alla zona in cui un tempo era particolarmente abbondante, la Sardegna, vive organizzata in gruppi molto numerosi chiamati banchi, che rappresentano il modello permanente di vita. Un banco di sardine rappresenta uno dei più straordinari esempi di aggregazione nel mondo animale, una forma cooperativa in cui ogni individuo trova una precisa collocazione. I banchi più folti possono aggregare qualche milione di individui e il sistema di relazioni che si instaura all’interno del banco consente di muoversi in modo compatto e ordinato. Una vita di relazioni che è il risultato di un lungo processo evolutivo e che consente alle sardine di mettere in atto efficaci meccanismi di difesa rispetto ai predatori.

LA VITA DI GRUPPO CONSENTE di mettere in atto tecniche di fuga che il singolo individuo non sarebbe in grado di attuare. I predatori sono disorientati dal movimento di un gruppo compatto. La vita di gruppo, inoltre, facilita gli spostamenti per procurarsi il cibo e per l’individuazione di zone idonee alla riproduzione. I banchi di sardine sono la forma più evoluta di questo modello comportamentale e la comunicazione avviene per mezzo di messaggi chimici (feromoni) e visivi comprensibili solo ai componenti del banco. Il gruppo è vita e consente agli individui che lo compongono di orientarsi e seguire una determinata direzione, per poi ritornare al punto di partenza. L’istinto aggregativo è presente nella maggior parte delle specie di pesci, ma le sardine, che sono ai livelli più bassi della catena alimentare, hanno sviluppato i sistemi di difesa più evoluti. La sincronia dei movimenti, la capacità di variare direzione e velocità rappresentano gli strumenti più efficaci di difesa per un banco di sardine.

L’AMPIO CAMPO VISIVO che il gruppo riesce ad avere nel suo insieme consente di individuare con rapidità i predatori ed instaurare comportamenti difensivi. Maggiori sono le dimensioni del gruppo e minori sono le possibilità per predatori di avere successo nell’attacco. Di fronte a un attacco improvviso il banco si apre a ventaglio disperdendosi in tutte le direzioni, impedendo al predatore di concentrarsi sui singoli individui. Oppure, quando il banco è inseguito da un predatore più veloce, i pesci che costituiscono il gruppo si dividono lateralmente per poi ricongiungersi alle sue spalle, ripetendo il comportamento ad ogni attacco. Chi ha qualche esperienza di immersioni subacquee sa che quando si nuota in direzione di un banco di pesci, il gruppo si allarga e si divide per poi ricomporsi con movimenti sincronizzati.

QUESTA SINCRONIA È IL RISULTATO di una precisa organizzazione spaziale dei singoli membri che si muovono mantenendo una precisa polarità direzionale. Solamente quando si nutrono le sardine tendono a distribuirsi in modo più disordinato. Siamo in presenza di una precisa strategia di sopravvivenza: rimanere in banchi per difendersi e sparpagliarsi per nutrirsi. Durante la notte il banco è meno compatto e si distribuisce su un’aria più vasta. Per questo la pesca con le lampare, fonti luminose che fanno da richiamo, è diventata una delle più utilizzate, con l’impiego di reti a circuizione che riescono a catturare i pesci che vengono in superficie. La sardina, conosciuta anche come sarda, sardella o saracca, appartiene alla famiglia dei Clueidi, la stessa dell’aringa, ed è presente nel Mediterraneo, lungo le coste atlantiche di Europa e Africa, nel mar Nero. Il mare aperto è il suo ambiente ideale, ma nel periodo riproduttivo (da marzo a novembre) si avvicina alla costa dove staziona in prossimità della superficie. Si nutre di plancton, piccoli molluschi e uova di altri pesci. Allo stadio adulto raggiunge una lunghezza di 15-20 centimetri.

LA VITA MEDIA DI UNA SARDINA del Mediterraneo è di 5-6 anni, mentre quelle atlantiche possono raggiungere i 15 anni. Ma la pesca intensiva non consente alle sardine di completare il loro ciclo vitale, con la conseguenza di avere popolazioni sempre più giovani e di dimensioni sempre più piccole. La femmina, che si riproduce dopo un anno di vita, depone ogni anno da 50 mila a 80 mila uova e solo una piccola parte di esse produrrà nuovi individui. Ma le sardine, come le alici, non godono di buona salute in nessuno dei mari che li ospitano. Il livello di pesca, con l’uso di metodi distruttivi e non sostenibili, è al di sopra della loro capacità di riproduzione.

ALICI E SARDINE RAPPRESENTANO quasi un terzo del pescato annuo a livello mondiale, ma solo una piccola percentuale arriva sulle nostre tavole, perché il 50% viene utilizzato come alimento per i pesci negli allevamenti e il 40% finisce nei mangimi per polli e suini. Questo massiccio impiego di sardine e alici come alimento per gli animali d’allevamento è la causa principale della drastica diminuzione di queste varietà di pesce azzurro. Il Mediterraneo è il mare più sfruttato per la pesca e si calcola che la popolazione di sardine si sia dimezzata negli ultimi 20 anni. I dati della Commissione generale della pesca della Fao ci dicono che ogni anno nel Mediterraneo vengono pescate circa 5 mila tonnellate di sardine e alici, quando il peso massimo sostenibile è di 2400 tonnellate.

AL SOVRASFRUTTAMENTO SI AGGIUNGONO gli effetti prodotti da inquinamento e cambiamenti climatici. L’aumento della temperatura del mare, il cambiamento delle correnti marine, l’acidificazione delle acque, l’alterazione dei cicli vitali della fauna marina, sono tutti elementi che hanno gravi conseguenze sulle popolazioni di sardine. Gli habitat subiscono trasformazioni irreversibili e viene alterata la vita di relazione all’interno dei banchi, la capacità di comunicare e orientarsi, il ciclo riproduttivo. La pesca a strascico, utilizzata anche per le sardine, è la forma di pesca più distruttiva, con due imbarcazioni che navigano in parallelo e trascinano la rete, dragando il fondale marino e pescando tutti i tipi di pesce. Secondo la FAO ogni anno nel Mediterraneo si scartano 230 mila tonnellate di pesce, il 20% del totale. La pesca a strascico è la causa della cattura di molti animali marini, pesci e mammiferi, che poi vengono ributtati in mare già morti o agonizzanti perché non hanno mercato.

IL DIVIETO DI PESCA DEL NOVELLAME di sardine e alici, i cosiddetti bianchetti, introdotto dalla UE nel 2006, è stata una importante misura che mira a salvaguardare la riproduzione di queste due specie, per consentire alle larve di diventare pesce adulto e riprodursi. Tuttavia, la pesca illegale dei bianchetti è ancora molto diffusa e non è raro sentirseli offrire nei ristoranti. Anche il fermo pesca, attuato lungo le coste italiane tra la fine di luglio e metà ottobre, per periodi di 30- 45 giorni a seconda delle zone, si propone di limitare lo sfruttamento intensivo del mare. Ma non è sufficiente a ripristinare le popolazioni delle specie più pescate, perché il periodo è troppo limitato e non consente di avere almeno un ciclo riproduttivo.

LE POPOLAZIONI DI SARDINE SI RIDUCONO sempre di più e la grave situazione che sta attraversando la fauna del Mediterraneo non le risparmia. L’Onu hanno lanciato nel 2015 l’Agenda per lo sviluppo sostenibile 2030. Vengono individuati 17 obiettivi, uno dei quali si riferisce alla pesca e alla necessità di conservare le risorse marine. Le restrizioni alla pesca delle sardine e delle altre specie a rischio sono fondamentali per garantire la sostenibilità a lungo termine del patrimonio ittico. Miguel Bernal, responsabile del settore pesca della Fao afferma: «La sostenibilità può essere costosa a breve termine, ma non c’è niente di più costoso che rimanere senza pesci».