Cultura

I bambini ci guardano

I bambini ci guardano

Scaffale Vita e pensieri tra i banchi in "Tutti in classe. Un maestro di scuola racconta" di Alex Corlazzoli, per Einaudi

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 26 ottobre 2013

«Chi non impara nulla dai bambini, certamente non imparerà nulla dai grandi». Questa frase di Ernst von Wildenbruch è riportata subito, all’inizio di  Tutti in classe. Un maestro di scuola racconta di Alex Corlazzoli (Einaudi, Torino, pp. 134, euro 12), un libro interessante soprattutto per lo sguardo libero da inibizioni e pregiudizi che l’autore riserva ai ragazzi, facendo scoprire al lettore non solo sentimenti, modi di vita, pensieri dei suoi piccoli studenti, ma delineando un quadro vivo e accurato delle trasformazioni che hanno attreversato e attraversano l’universo infantile e, di conseguenza, l’intero spettro della società attuale.
Alex Corlazzoli, blogger, giornalista, scrittore ma, innanzi tutto, maestro elementare, non si limita a parlare dei problemi strutturali della scuola, ma raccontando con estrema empatia la vita tra i banchi, e non solo, dei suoi protagonisti, offre una chiave di lettura efficace per comprendere i cambiamenti, le mutazioni che investono anche violentemente l’intera società. E, cercando di capire e di far capire, lancia proposte, propone soluzioni, svela anacronismi e delinea i contorni, intessuti di sogni, curiosità, speranze, delle ultime generazioni.
Da sempre, del resto, artisti, letterati, cineasti hanno utilizzato l’universo infantile per comprendere e mostrare i tratti fondamentali della società in cui si trovavano a vivere. L’elenco sarebbe interminabile. Basti pensare a film come Zero in condotta di Jean Vigo oppure Gli anni in tasca o Il ragazzo selvaggio di FrançoisTruffaut o ancora Germania anno zero di Roberto Rossellini. O a libri come Pinocchio di Carlo Collodi, Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry, il Tom Sawyer di Mark Twain. Opere dove sogni, poesia, ribellione, leggerezza, dramma si intrecciano in maniera quasi indissolubile.
Oggi, invece, risulta difficile che qualcuno si avvicini a tali tematiche. Come denuncia lucidamente e amaramente l’autore all’inizio del suo libro: «Qualcuno, laggiù, non si accorge che ci siamo. Non si preoccupa di come i bambini imparano ad amare, a leggere, a usare la tecnologia. Non si chiede più che scuola abbiamo, che posti di lavoro stiamo preparando per loro». Subito dopo questa constatazione, inizia il viaggio, ed è un viaggio appassionante e veritiero dove è possibile scoprire cosa realmente pensano i bambini dei propri genitori o che rapporto hanno con l’affettività, l’amore e il sesso. Si tocca con mano che peso ha nella loro vita la tecnologia, si vede cosa significa essere nati con Internet e il computer, che rapporto hanno i piccoli con la storia, cosa conoscono del passato e cosa no, come sia grande e appassionata la loro voglia di comprendere, sapere, scoprire.
Si mettono in evidenza incongruenze, mancanze, vere e proprie stupidaggini che la scuola impone loro. Cose che non capiscono e che, in verità, nessuno potrebbe capire. Come l’obbligo di mettersi in fila «come fossero un gregge di pecore» o il divieto di correre, urlare, divertirsi anche se è suonata la ricreazione. Oppure il fatto di concepire lo studio come sforzo, sacrificio dove non è tanto importante quello che impari ma semplicemente i voti sulla pagella. O perché i piatti che trovano alla mensa siano tristissimi: «minestrine stile casa di riposo (…), paste alla ricotta dove la ricotta era più che altro un ricordo, creme di legumi con riso che ricordavano i giorni mesti in cui si è ammalati sotto le coperte, pere e mele spezzettate, servite nelle bacinelle di plastica azzurra che le nonne usavano per i panni».
Il tutto raccontato con una scrittura piana, efficace, discorsiva come se l’autore stesse parlando direttamente al lettore. E con la consapevolezza, sottesa lungo tutto il testo, di trovarsi come in un viaggio spaziale che non si sa dove ci porterà, sapendo però che «alla guida della navicella spaziale ci sono i bambini, che hanno intuito il loro compito: trasportarci in una nuova era».

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