Sabato mattina a Torino, in pizza Castello, si terrà una prova di quella che – se ci saranno buoni risultati – si prospetta come una nuova marcia dei quarantamila. Si tratterà di un ibrido a due teste, composto da chi vuole il Tav e chi invece vorrebbe dare la spallata a Chiara Appendino e alla sua maggioranza.

La manifestazione è stata convocata da un gruppo spontaneo denominatosi ’Sì, Torino va avanti’ riconducibile al famoso e presto dimenticato Sistema Torino, ovvero il milieu di potere torinese comprendente settori bancari, Fiat, Partito democratico, pezzi di sindacato, fondazioni bancarie, associazioni industriali. Quel sistema fu l’obbiettivo politico della campagna elettorale della sindaca Chiara Appendino: doveva essere superato, oggi è più forte che mai.

Il M5S di Torino appare così sotto assedio, e la votazione di lunedì, che doveva ricomporre la frattura con la base scioccata dalla rotta sul Tap pugliese, ha già esaurito la sua potenza mediatica. I ventitré consiglieri comunali che hanno votato contro il Tav, voto simbolico e nulla più, appaiono isolati perfino dal loro partito, che continua come un pugile all’angolo a rimandare una decisione a una salvifica formula matematica: la «valutazione costi-benefici».

Ma, in realtà, nel M5S giorno dopo giorno si evidenzia come la contrarietà al tunnel di base sia una conditio sine qua non del gruppo torinese, che per altro non comprende nemmeno la sindaca. La quale ormai rifiuta ogni commento e ai suoi ha fatto chiaramente capire di considerare il voto di lunedì un errore che ha scoperchiato un vaso di Pandora di cui lei pagherà le conseguenze. Da Dubai tornerà giovedì.

Ieri il ministro Tria ha imbastito una tenue linea di difesa, rimandando anch’egli al materialismo scientifico della valutazione costi benefici. «In relazione al rischio di perdita dei finanziamenti europei per la Tav o agli impatti macroeconomici dell’intervento è prematuro approntare qualsiasi quantificazione i cui elementi sono oggetto stesso dell’analisi costi-benefici in corso». «A quanto risulta – ha aggiunto il ministro – la sospensione della pubblicazione delle gare in attesa che venga completata l’analisi costi-benefici dell’opera è avvenuta sulla base di uno scambio di lettere tra i ministeri competenti di Italia e Francia. Al momento, il ministero dell’Economia e delle finanze non dispone di elementi informativi in merito alla data di chiusura dell’analisi costi-benefici in corso».

Luigi Di Maio, giunto a Torino per la vertenza Comital, interrogato sulle sorti del tunnel di base ha anch’egli evocato la «valutazione», dopodiché ha gettato il pallone in tribuna, infervorandosi sullo spostamento dei finanziamenti del Tav alla seconda linea della metropolitana torinese. Infrastruttura necessaria alla città, che, a onor di cronaca, il M5S in tempi non governativi contestava esattamente come il tunnel di base della Torino- Lione.

Il vicepremier, evidentemente spaventato dalla rivolta degli industriali, sostenuti da Cisl e Uil, ha poi sottolineato che in realtà sul Tav c’è stato un «fraintendimento». «Non è che stiamo perdendo gli investimenti – spiega – stiamo dicendo che si devono spendere i soldi per fare le opere e non fare le opere per spendere i soldi. È un concetto molto diverso da quello che abbiamo visto con la Tav in Valsusa. Noi non siamo contro la Tav a prescindere, anzi: per quanto riguarda la mobilità per regioni che non hanno treni, soprattutto per trasporto merci, sfrutteremo questa tecnologia. Ad esempio la Napoli-Bari, va bene. Il problema è la Torino-Lione che si fa per spendere soldi: non si fanno investimenti qui, solo opere per sprecare denaro. Utilizziamo quei denari per fare metro 2 a Torino e per rilanciare infrastrutture su questo territorio che ne ha bisogno».

Il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino replica più tardi: «E’ propaganda pura pensare di spostare i fondi per la Torino-Lione sulla metropolitana. C’è un finanziamento europeo per quell’opera, non sono soldi mutuabili da altre parti».