Ma è vero che la tv sposta i voti e fa vincere o perdere le elezioni? Il tema è sempre attuale soprattutto se di mezzo ci sono Mediaset e il Cavaliere di Arcore. Quest’ultimo ha deciso di rimuovere Giordano, Belpietro e Del Debbio dai rispettivi ruoli e di cassare i loro programmi. È evidente che l’ha fatto, con l’ausilio del direttore generale Crippa ( non è pensabile che si muova foglia all’insaputa di Berlusconi), a causa del populismo anticasta sparso per anni a piene mani da questi format, che alla fine avrebbe favorito la Lega e i Cinquestelle a scapito della casa madre. Tanto che a questo punto verrebbe voglia di dire che chi di spada ferisce…

Ma il tema, per quanto affascinante, dei rapporti tra la televisione (e più in generale i media) e il neo populismo, tema da alcuni anni rimeditato (più all’estero che in Italia), qui da noi è più articolato da svolgere, perché ad esso si aggiunge quello antico, ma bruciante, di una «questione televisiva» nazionale mai risolta. Ed è proprio a causa di questa irrisolta questione che a distanza di 40 anni dalla nascita delle tv private e a dieci dall’avvento del digitale terrestre, il nostro sistema di broadcasting rimane impantanato nel duopolio Rai-Mediaset, visto che la moltiplicazione dei canali non ha sottratto ai due grandi player la fetta largamente maggioritaria degli ascolti: molti infatti dei nuovi canali digitali appartengono all’uno o all’altro.

Per averne conferma basta sommare le sei reti generaliste Rai-Set, che da sole fanno oltre il 50% di ascolti, e le reti di nicchia di loro proprietà (da Rai 4 a Iris, da RaiMovie a La5, da Rainews24, al Tgcom, al neonato Canale 20, tanto per citarne solo alcune) per concludere che almeno i due terzi del sistema sono in mano a due soli proprietari.

Per essere più chiari verso chi pensa che il pluralismo dopo il digitale sia oramai un dato di fatto e che il duopolio sia superato dalla realtà, aggiungiamo che nell’ultima settimana lo share di tutte le reti Rai e Mediaset (generaliste più speciali) ha oscillato dal 62% all’81% nel prime time (il picco c’è stato con Real-Juve, ma lo scorso martedì senza calcio Rai e Mediaset hanno superato il 68%); sono valori altissimi che rimangono per i due colossi sostanzialmente tali anche in altre fasce di ascolto, mentre tutti gli altri raccolgono le briciole. Anche con il digitale, come si vede, il duopolio è più vivo che mai.

Tornando alla notizia da cui siamo partiti un fatto ci sembra incontestabile: se non fosse Berlusconi il proprietario di metà della tv nazionale il problema Giordano, Belpietro e Del Debbio non si sarebbe neanche posto. Come non si porrebbe oggi, in vista della scadenza del cda della Rai, quello della rincorsa dei nuovi poteri alla conquista dell’azienda pubblica, se qualcuno dei governi, anche di centrosinistra, degli ultimi decenni avesse fatto uno straccio di riforma in direzione di un vero mercato e della messa in sicurezza di viale Mazzini. Così come avevano chiesto con le loro sentenze i giudici della Corte Costituzionale: sentenze che nè Prodi, né Veltroni, né Bertinotti, né D’Alema, e ancor meno Renzi, hanno mai pensato di far rispettare. Un inciucio politico-televisivo venticinquennale che ci ha regalato la televisione pubblica e privata politicamente più intossicata del mondo (o quasi).

Ciò che non è stato fatto nella seconda repubblica sarà possibile farlo nella terza? Saranno in grado i grillini, che sono il partito più forte, di imporre in agenda finalmente una seria legge sul conflitto d’interessi e sul sistema tv? Di dare alla Rai l’autonoma necessaria e alle Authority il loro vero potere, riformandone magari i meccanismi di nomina politico-parlamentare che le rendono spesso inefficienti? Sono tutti interrogativi ai quali non sapremmo dare una risposta (e anche perché il governo pare ancora in alto mare). Ai quali però la sinistra che verrà, moderata o radicale, vecchia o nuova, di opposizione o di governo, ma che sia degna di questo nome, dovrebbe una volta per tutte porre estrema attenzione. La riforma della tv, e di tutto quel che le ruota intorno pubblicità compresa, è una battaglia che vale la pena di riprendere.