Ora che Di Maio ha deciso di tenere per sé la delega alle telecomunicazioni sarà interessante vedere se la storica schizofrenia tra il dire e il fare della sinistra in fatto di riordino del sistema televisivo troverà, come temiamo, qualche postumo imitatore. Oppure se finalmente conflitto d’interessi, questione tv, e tutto ciò che ruota intorno all’anomalia italica dei media (editoria e pubblicità comprese) vedranno una soluzione in direzione di un pluralismo vero che oltrepassi il decennale duopolio. Il quale è ancora lì nonostante il digitale e i suoi cantori, visto che i tre quarti della fetta di ascolti sono appannaggio delle reti, generaliste e di nicchia, di Rai e Mediaset.

L’altro test per capire se ci troviamo di fronte ad un cambiamento reale, e non ad un calesse (copyright Troisi), è quello delle nomine per il cda della Rai. La Rai è sempre stata il termometro per misurare lo stato di salute della politica e dei partiti, la loro coerenza tra intenzioni sovente altisonanti e pratiche quasi sempre di bassa cucina. Se questa inedita compagine di governo volterà pagina lo vedremo tra poco. Anche se i segnali, dopo le dichiarazioni di Salvini sui telegiornali, non sono confortanti.

Eppure a leggere le candidature l’occasione per insediare ai vertici dell’azienda persone competenti e indipendenti ci sarebbe. Basti solo pensare ai Freccero, ai Santoro o ai Minoli, non facilmente cassabili se si predica il cambiamento. È curioso però che tra i nomi che concorrono ci sia anche la ‘iena’ Giarrusso, candidato non eletto alle ultime elezioni con il M5S: orbene, se non ricordiamo male nel ddl presentato dal Movimento a marzo 2015 sulla Rai c’era il divieto di nominare nel cda chi, negli ultimi sette anni, avesse avuto a che fare con la politica.

Naturalmente ci auguriamo che le legittime aspirazioni di Giarrusso rimangano tali, così come ci auguriamo che rimangano tali, stando alle regole grilline, anche quelle legittime di Nunzia De Girolamo. Sarà interessante vedere se i Cinquestelle sapranno tener fede alle proprie idee o se faranno con Di Maio l’ennesima giravolta.

Anche perché, ci pare, i pentastellati hanno l’obbligo assoluto di non rinunciare ai principi di alcune loro storiche battaglie se non vogliono finire fagocitati dalla Lega.

PS: il solito Anzaldi a proposito delle preoccupanti dichiarazioni di Salvini sui tiggì ha parlato di «attacco senza precedenti» alla Rai. Ma di precedenti da ricordare invece ce ne sarebbero: anzi, proprio lui in questi anni è stato uno dei massimi esperti in materia (di attacchi, intendiamo), come quando alla fine di settembre del 2015 attaccò Ballarò e i talk perché «forse non hanno capito chi ha vinto», o si lamentò, Renzi appena insediato, della satira fatta sulla Boschi. Se il Pd vuole rinascere si liberi quanto prima di simili poco credibili ed arroganti portavoce.