L’accordo tra le teste di serie del Movimento 5 Stelle siglato all’indomani dell’apertura della crisi regge. Dunque, un’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari che rischiava di trasformarsi in un regolamento di conti finisce con la conferma della linea prudente che Luigi Di Maio riassume così: «Approviamo subito la riforma taglia-poltrone, sul voto ci rimettiamo alle decisioni del Quirinale».

Ma non è stata una riunione delle più tranquille, di quelle le cui conclusioni sono già contenute nella relazione introduttiva del «capo politico», come è accaduto tante volte nel corso degli ultimi dodici mesi. Non è andata così perché la fase è movimentata e perché dentro al M5S tutti percepiscono di essere nel mezzo di una fase di transizione verso un’altra epoca. Basti dire che tra le posizioni che emergono nell’assemblea c’è anche quella di alcuni parlamentari che chiedono senza tanti giri di parole di provare la strada di «un governo politico di legislatura». Roba impensabile fino a prima della scorsa settimana. Nessuno ovviamente invita a rispondere all’abboccamento di Matteo Renzi («nessuno vuole sedersi al tavolo» con lui, assicura Di Maio), che anzi Beppe Grillo in un messaggio sul suo blog paragona a un «avvoltoio» che volteggia sul cadavere in decomposizione del governo. Nell’allegoria western del garante, invece, Matteo Salvini è uno «sceriffo in fuga» che ha abbandonato la sua gente e viene contestato «sulla strada verso il sud». Di Maio si dice convinto del fatto che Salvini pagherà il «tradimento» al contratto di governo. «È cambiato qualcosa in Italia negli ultimi giorni, sento gente che mi dice ’Salvini ci ha tradito’ – dice Di Maio in assemblea – Sento molti elettori e parlamentari leghisti che ci dicono la stessa cosa». Al contrario, Salvini va ripetendo che alcuni grillini non sarebbero disposti in nessun modo a una maggioranza con il Pd. Di Maio parla da leader ridimensionato, in un certo senso commissariato. Ha il problema di rivendicare quanto fatto fino ad ora e al tempo stesso attaccare la Lega per il fatto di avere abbandonato la retta via del cambiamento. Ma poi senti una come Paola Taverna, una di quelle che predica il «ritorno alle origini», che si fa sfuggire una lamentazione sul fatto che i modi e i tempi con cui il «Capitano» Salvini ha abbandonato la nave del governo – questa è l’immagine che circola alla riunione dell’aula dei gruppi a Montecitorio – portano a riflettere in senso critico su tutta la rotta percorsa «nell’ultimo anno». Se non è una stilettata a Di Maio poco ci manca.

Stefano Buffagni, esponente della linea governista, dice che bisogna andare al voto subito. Ma, sottolineano in molti, «è un’affermazione di principio che significa tutto e niente, nel momento in cui la linea è quella di affidarsi a Mattarella». Tra chi parla esplicitamente di dialogare con le opposizioni, e col Pd, c’è il deputato bellunese Federico D’Inca, che si muove in coerenza con la fama di pontiere di cui gode. Ancora più chiaro è il ragionamento del campano Luigi Gallo, deputato vicino a Roberto Fico. «Dobbiamo parlare con le persone – afferma Gallo in assemblea – Questa è una repubblica parlamentare, si parla, si fa un accordo limpido e trasparente e si va avanti. Il Movimento 5 Stelle esiste per fare le cose. Ha il 36% dei parlamentari, il dato più alto da quando esiste, e può farle solo adesso». Per Gallo, dopo aver parlato con Salvini è possibile parlare con chiunque. È la posizione espressa nei giorni scorsi da Roberta Lombardi, che ieri di nuovo ha invitato i suoi a «superare gli egoismi» e ha evidenziato la «imbarazzante subalternità alla Lega» mostrata dal M5S nei mesi scorsi. Tra le voci più critiche quella di Carla Ruocco, presidente della commissione finanze della camera ed ex membro del direttorio, che ha definito la gestione Di Maio come esempio di «demeritocrazia, un cancro di tutti i contesti che vogliano avere un futuro».

Ma il capogruppo alla camera Francesco D’Uva, che è uno dei contraenti il patto tra maggiorenti grillini per mantenere unito il gruppo e la barra dritta, rigetta ogni rischio di processo ai vertici e racconta così la discussione interna: «Non abbiano parlato di alleanze, vogliamo andare dritti verso il taglio dei parlamentari e non abbiamo paura di votare». Anche se poi afferma sibillino: «Vedremo come si evolve la situazione».