Contano qualcosa 117 ragazze e ragazzi, quasi tutti bianchi ma non solo, in un paese sprofondato nell’America meno visibile, con in mano cartelli che dicono che la vite nere contano, che il silenzio dei bianchi è una violenza e loro non ci stanno?

Il posto è Harlan, nel cuore di quell’Appalachia che nei luoghi comuni dei media è lo zoccolo duro di Trump – un territorio che ha una storia straordinaria di lotte sociali e una tradizione elettorale repubblicana che risale ai tempi di Lincoln. E tutto comincia con Bree Carr, una ragazza qualsiasi ma evidentemente straordinaria. Ha 17 anni, lavora da Arby’s (un fast food dove sono stato tante volte senza che mi venisse in mente di intervistare chi ci lavorava), va ancora a scuola.

E a un certo punto ha detto basta: non in mio nome. «Ho visto tutte le tragedie che succedevano, e ho pensato che volevo fare qualcosa. E una donna che mi è molto cara mi ha detto: e allora fallo! La cosa che voglio più di ogni altra è far sapere alle persone che stanno lottando che qui nell’Appalachia rurale, nel Sudest del Kentucky, hanno degli alleati. E che sappiano che per ogni persona di qui che è razzista e piena di pregiudizi – perché il pregiudizio qui è antico come il nostro dialetto – ce ne sono tante che vedono come stanno le cose e sono con loro».

Non le sono mancate, specie sui social, minacce e insulti. Ma Bree stava attingendo a una tradizione di solidarietà che a Harlan va oltre le scelte elettorali (comunque: Trump aveva vinto a Harlan; ma nelle primarie democratiche Sanders aveva preso più del 60% dei voti). È una tradizione che risale a più di cento anni di lotte sindacali di minatori bianchi e neri, ma anche a episodi più recenti.

Per esempio, nel 1998, quando una compagnia mineraria aveva ottenuto l’autorizzazione per radere al suolo la vetta di Black Mountain, la montagna più alta del Kentucky, area protetta, per estrarre il carbone a cielo aperto, sono stati i ragazzi delle scuole superiori a impedirlo, formando una catena umana attorno alla vetta e fermando le ruspe che si preparavano a distruggerla.

Così, martedì 2 giugno 117 ragazze e ragazzi si sono schierati a un crocevia appena fuori città, con le loro voci e i loro cartelli. Non saranno masse sterminate di popolo, ma neanche pochissimi in una città di 1.500 abitanti e una contea che ne ha 33.000. E non erano soli. Davanti a loro, qualche automobilista gli mostrava il dito medio ma i camionisti che passavano col loro carico di carbone suonavano il clacson in un gesto di solidarietà. Dietro di loro, nel parcheggio del fast food (con l’autorizzazione dei proprietari) stavano le macchine dei loro genitori, pronti a intervenire e difenderli se succedeva qualcosa. Per una volta la presenza pacifica della polizia sembrava più rassicurante che minacciosa.

Ha scritto Robert Gipe, un meraviglioso scrittore e organizzatore culturale di Harlan: «Nel pieno della tragedia in tutto il paese, ieri è stato un giorno bellissimo a Harlan. Ogni volta che un camion carico di carbone suonava il clacson a sostegno dei dimostranti, la verità veniva fuori: queste cento persone onoravano la storia delle famiglie dei minatori e dei militanti dei diritti civili di questa contea prendendo posizione per quello in cui credono anche se non erano sicure che loro concittadini fossero tutti d’accordo. Per quasi tre ore, le colline risuonavano dei clacson e degli slogan di solidarietà per quello che questi cento stavano facendo».

I 117 di Harlan, invisibili per i media ossessionati dalla «violenza», tuttavia non erano isolati. Manifestazioni, catene umane, cortei di protesta si sono svolti in tante altre realtà degli Appalachi, la regione che i media hanno a suo tempo bollata come il focolaio di classe operaia bianca razzista che ha fatto eleggere Donald Trump – come a Charleston, West Virginia, a Raleigh e Fayetteville, North Carolina (dove 60 poliziotti si sono inginocchiati davanti ai manifestanti.

E ieri è successo lo stesso anche a Lincoln, Nebraska, cuore delle badlands springsteeniane). Sono minoranze, certo; magari non saranno queste ragazze e questi poliziotti a rovesciare immediatamente l’orientamento partitico della loro regione e del paese. Ma sono un segno: proprio perché vengono dai luoghi e dai soggetti sociali che sono considerati lo zoccolo duro del trumpismo, forse vogliono dire che la strategia di Trump della divisione e dello scontro comincia a dare segni di sgretolamento.

A Harlan, e in tanti altri posti invisibili, come due anni fa nelle manifestazioni studentesche contro la violenza delle armi e la stragi nelle scuole, the kids are all right. Forse non basterà, per ora; ma fa sperare.