Nato e nominato con la serie Warriors di Tecmo, il «musou» è un genere riassuntivo, che sintetizza le regole e i modi del videogioco d’azione scarnificandole di sovrastrutture artistiche e filosofie, puntando all’essenziale: l’eliminazione perpetua di centinaia di nemici che può tuttavia assurgere a quell’astrazione primeva di uno Space Invaders e talvolta sembrare un esercizio di igiene, più che di guerra, l’atto di detergere uno spazio mappato da tutte quelle icone che lo macchiano, come quando con pazienza si eliminano le macchie di muffa dal trascurato muro dietro un mobile. Capita spesso, esperendo questo tedioso e ripetitivo, per questo addirittura spassoso sforzo ludico, di osservare la mappa più che l’azione messa in atto, per intuire il proprio progresso, attratti dal graduale ritorno al lindore invece che dalle mosse spettacolari di distruzione di quello o dell’altro personaggio contro le orde nemiche. Il «musou» è roba per gente ordinata e precisa, quelli con il pavimento sempre lucido e guai a non pulire i vetri una volta a settimana.

Potrebbe sembrare azzardato fondere l’immaginario e la ludica di Legend of Zelda Breath of the Wild, con la sua esplorazione così enigmatica e meditativa, l’avventura dalle ritmiche sempre varie e le strategie soggettive necessarie per interpretare e percorrere i suoi immensi, «vivi», spazi selvaggi con la preziosa ma dissennata progressione del «musou», ma Tecmo-Koei e Omega Force riescono nell’edificare un ibrido quasi impossibile e per questo persino bello con Hyrule Warriors L’era della Calamità, uscito su Nintendo Switch.

Non è solo merito dell’imitazione estetica e delle derive narrative intraprese da quel capolavoro che è Breath of the Wild che L’era della Calamità tende a svincolarsi dalla pedissequa dimensione del «musou» per essere, almeno nella sostanza più che nella forma, qualcosa di insolito e appagante; perché se inteso nell’integralità della sua esperienza il videogame in questione risulta compiuto e insieme accessorio, un tassello fondamentale nel comporre una mitologia attraverso azioni e visioni che interrompono la prassi banale del genere alimentando stupore, negando la disattenzione, favorendo una organicità e una osmosi.

L’Era della Calamità si svolge cento anni prima degli eventi di Breath of the Wild, narrandoci dunque della guerra contro Ganon al suo sorgere e al suo apice catastrofico. C’è il futuro eroe leggendario Link, ma ci sono Zelda e Impa da giocare con meraviglia, ci sono i quattro Campioni e tanti altri caratteri dei quali e saggio tacere. Tra una lunga battaglia e un’altra ci sono distese o mosse parentesi di efficace racconto che provocano suggestioni, spingono a progredire, emozionano. Tornano panorami noti, suoni già sentiti, anche se rivisti e riletti nell’ottica di un genere ai quali non appartengono, tuttavia le corrispondenze, le domande quasi risposte e i colpi di scena favoriscono una passione inedita, una corale immedesimazione inaspettata.
Capita ancora di guardare la mini-mappa sullo schermo per vedere quanti maledetti puntini rossi vi rimangono, ma meno, molto meno del solito.