«Vivere? Lo facciano per noi i nostri domestici». Questa boutade di Barbey d’Aurevilly potrebbe benissimo attagliarsi alla figura e all’opera di Joris-Karl Huysmans (1848-1907), il celebre autore di À rebours (1884), definito da Mario Praz «il libro cardinale del decadentismo». Lo stesso d’Aurevilly osservava profeticamente come a Huysmans non rimanesse, dopo la pubblicazione di quel romanzo, «che scegliere tra la canna di una pistola e i piedi della croce». La critica ha suddiviso in tre periodi distinti la produzione del narratore francese: a una prima parte, caratterizzata dall’influenza del naturalismo e dall’impronta di Zola, subentrerà il momento decadente, inaugurato appunto con la stesura di À rebours, cui seguirà una fase in cui più marcato appare l’influsso mistico e religioso, contrassegnato da libri apologetici come quelli dedicati alle figure di Don Bosco o di santa Lydwine di Schiedam. Non bisogna dimenticare inoltre l’esordio, avvenuto all’insegna del simbolismo con le prose di Le drageoir aux épices (1874).
La trilogia cattolica
I protagonisti dei romanzi di Huysmans si possono considerare degli alter ego del loro creatore. A cominciare proprio da Jean des Esseintes, eccentrico personaggio «in preda alla nevrosi del secolo, degno del sanatorio di Charcot», secondo la definizione di d’Aurevilly, che cadenza le pagine di À rebours. A lui si ispireranno autori del calibro di Wilde e d’Annunzio, anche se la sua fisionomia reca tracce di quell’inimitabile modello che fu Robert de Montesquieu, identificatosi con il tempo nel barone di Charlus proustiano. Ma altri personaggi sembrano rifarsi al prototipo del loro ideatore, a cominciare da Folantin, melanconico impiegatuccio descritto in À vau-l’eau (1882), il quale esibisce le frustrazioni dello stesso Huysmans, costretto a rivestire i panni di un oscuro funzionario ministeriale. D’altro canto il taedium vitae di Folantin sembra prefigurare lo snobismo dandistico di des Esseintes (Maupassant parlò, al riguardo, di «nauseati»), anche se l’interprete che più di ogni altro impersona le vicissitudini religiose che caratterizzano gli ultimi anni di Huysmans è senz’altro Durtal che, non a caso, è il protagonista della cosiddetta «trilogia cattolica», comprendente i romanzi En route (1895), La cathédrale (’98) e L’oblat (1903).
Dall’iniziale conversione avvenuta in seguito alla frequentazione di Léon Bloy e dell’abate Mugnier, oltre a un fondamentale soggiorno intrapreso presso un convento di Trappisti, si passerà a un’adesione sempre più orientata verso i precetti monastici che sfocerà nel suo ordinamento come oblato nell’abbazia benedettina di Ligugé, poco prima che il governo laicista sopprimesse le congregazioni religiose nel 1901. Lo scrittore stesso dette disposizione di farsi seppellire vestito da oblato. Se la «trilogia cattolica» si sofferma a investigare, con estrema dovizia di particolari, il processo che porterà Durtal alla sua tormentata conversione, non si può non rilevare come in questi tre romanzi sia presente la tendenza a dissertare, in maniera insistente, sistematica, rischiando spesso la monomania, intorno ai diversi aspetti del rito (anche se molto intense appaiono le pagine sul canto gregoriano o sulla descrizione di certi luoghi di culto, in primis la cattedrale di Chartres). Sembra paradossalmente che l’estetismo presente in À rebours si sia riversato sugli esiti esteriori dei vari ordini religiosi o della liturgia. Huysmans si dilunga a tratteggiare le sfumature cromatiche di un paramento sacro, l’atmosfera incantata di un chiostro, taluni particolari di carattere agiografico (con la spiccata predilezione per alcuni santi: Maddalena de’ Pazzi, Giovanni da Copertino, Katharina Emmerich ecc.). È perciò un peccato che le prime due parti della trilogia non siano più disponibili da oltre mezzo secolo in italiano: Per strada e La cattedrale videro rispettivamente la luce per Rizzoli e le Edizioni Paoline nel 1961 e nel 1959, anche se un estratto del secondo romanzo, introvabile anch’esso, è apparso in tempi più recenti da Aragno con il titolo La cattedrale di Chartres.
La figura di Gilles de Rais
Il primo libro che vide come protagonista Durtal fu tuttavia Là-bas, anticipato in feuilleton su L’Écho de Paris nel febbraio 1891 e uscito in volume nello stesso anno da Tresse & Stock; fu tradotto in italiano nel 1970 da Annamaria Galli Zugaro per la collana di letteratura fantastica «Olimpo nero» di Sugar Editore. Ora Lindau recupera quella versione che, nonostante gli anni passati, mantiene una discreta leggibilità, con il titolo L’abisso («Biblioteca di classici», pp. 330, € 24,00), anche se risulta disponibile una traduzione più recente per le Edizioni Internòs intitolata pleonasticamente Laggiù, nell’abisso (una precedente trasposizione, Laggiù, era stata allestita da Corbaccio nel 1929). Si tratta di uno dei libri più belli e controversi di Huysmans, in cui vengono affrontate tematiche che, nella Francia fin de siècle, erano considerate tabù. Il riferimento è al satanismo, argomento approfondito da Durtal al fine di documentarsi sulla figura di Gilles de Rais alias Barbablù, considerato «il des Esseintes del XV secolo», sul quale deve scrivere una monografia. Huysmans indugia nell’esposizione delle efferatezze compiute da Gilles de Rais dopo il sostegno dato a Giovanna d’Arco, tra cui stupri, torture e uccisioni di bambini innocenti. I capitoli riguardanti Gilles de Rais sono un vero e proprio libro nel libro che sembra idealmente fare da trait d’union tra la vocazione blasfema di Sade e l’erotismo di taglio speculativo batailliano. Quest’«essere satanico, raffinato ed artista, il più crudele e scellerato degli uomini» diviene così il pretesto per addentrarsi nei meandri di certo esoterismo da parte di Durtal e dei suoi amici: il medico Des Hermies e il campanaro Carhaix. Molto interessanti le descrizioni dell’abitazione di quest’ultimo, arroccata all’interno del campanile di Saint-Sulpice, nonché la sua anacronistica passione per le campane.
Si arriverà a descrivere, in termini quanto mai realistici, una messa nera, alla quale il protagonista assiste tramite l’intercessione di Madame Chantelouve, in cui si adombra la figura di Berthe Courrière, l’ineffabile amante di Remy de Gourmont, amico di Huysmans e autore di un importante studio sul Latino mistico. Non mancano inoltre riferimenti all’alchimia, praticata dallo stesso Gilles de Rais. Ma, in germe, è già presente quell’afflato religioso che contraddistinguerà la fase estrema della produzione di Huysmans. Si pensi, in tal senso, alla descrizione della crocifissione di Grünewald, artista a cui dedicò un’apprezzabile esegesi in Trois primitifs (1905): «Slogate, quasi strappate dal tronco, le braccia del Cristo sembravano impastoiate per tutta la loro lunghezza dalle corregge dei muscoli tesi. L’ascella contorta scricchiolava. Le mani spalancate terminavano in dita contorte e tuttavia benedicenti, in un confuso gesto di preghiera e di rimprovero. I pettorali, madidi di sudore, tremavano. Il torace era circondato dalle doghe delle costole dilatate, la carne si gonfiava, ammaccata e contusa, chiazzata da morsicature d’insetti, macchiettata dalle punte di spine che le verghe avevano lasciato sotto la pelle».
E proprio dal singolare connubio tra cattolicesimo e satanismo, tra devozione e occultismo nasce la peculiarità di questo romanzo, che sembra aver dato l’abbrivio a una serie di narrazioni sospese tra orrore e sensualità: si pensi, per esempio, a Le Jardin des supplices di Octave Mirbeau che vide la luce qualche anno più tardi, nel 1899. In tal senso vanno letti anche i continui richiami a un Medioevo polemicamente contrapposto all’inerzia della civiltà borghese. D’altronde lo stesso Huysmans aveva sostenuto che «tra un misticismo esasperato e un esaltato satanismo non c’è che un passo».