Housman: il divinatore capriccioso e la sua Musa
Il filologo classico inglese Alfred E. Housman (1859-1936) ritratto nel 1906 da William Rothenstein, Londra, National Portrait Gallery
Alias Domenica

Housman: il divinatore capriccioso e la sua Musa

Filologia classica e cognitivismo Maestro della «congettura», un secolo fa Alfred E. Housman pronunciò una vivace conferenza: la traduce la Normale di Pisa
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 19 giugno 2022

Alfred E. Housman (1859-1936), grande filologo classico inglese e poeta tuttora letto e apprezzato, è una figura di straordinario fascino. Consapevole del suo talento filologico, Housman cercò ardentemente, con le sue monumentali edizioni critiche degli Astronomica di Manilio, delle Satire di Giovenale e della Farsalia di Lucano, con i suoi articoli dottissimi e ingegnosi, e con le sue recensioni acuminate, di ottenere una gloria non effimera e di costruire – come egli stesso scrisse riecheggiando Orazio – un monumento alla propria erudizione e al proprio genio. In effetti, sebbene Housman avesse ottenuto una fama notevole come poeta – le due raccolte di versi che pubblicò in vita, A Shropshire Lad del 1896 e Last Poems del 1922, ebbero un significativo successo, sia di pubblico sia di critica –, il centro della sua vita era la filologia. Housman non era un poeta che fu anche filologo; era un filologo che rapsodicamente scriveva poesia lirica in inglese, stimolato da una Musa capricciosa, che a suo dire lo ispirava solo in momenti di particolare disagio, fisico o psichico, inducendolo a comporre ballate esili, appassionate e sensuali, intessute di echi classici, ma soprattutto shakespeariani e biblici.

Una personalità ricca quale quella di Housman non poteva che provare un qualche disgusto per gli aspetti più triviali della vita dello studioso e del professore (fu docente di latino a Londra e a Cambridge); lo infastidiva, in particolare, la necessità di leggere libri che in se stessi non meritavano di essere letti, ma che erano funzionali ai suoi contingenti interessi di ricerca. Molto più forte della frustrazione per la routine accademica era tuttavia il violento impulso a conquistare la gloria filologica, un impulso che dominò la sua vita umbratile (ma non ascetica), e che fu verisimilmente alimentato dal desiderio di riscattare una assai poco brillante carriera di studente di Lettere classiche a Oxford, che sembrava avergli precluso per sempre la via dell’insegnamento universitario (analogamente a Einstein, Housman dovette lavorare per anni all’Ufficio Brevetti di Londra, mentre nelle ore libere, con feroce determinazione, studiava e scriveva gli articoli che gli avrebbero dato, nel 1892, la cattedra londinese).

Housman fu in vita, come filologo, ammirato e temuto; ammirato per l’indiscutibile valore dei suoi contributi e per la sovrana sprezzatura della sua prosa filologica; temuto per la virulenza dei suoi giudizi, che mettevano alla berlina gli errori e l’incompetenza degli studiosi contemporanei con linguaggio e toni spesso insultanti e scurrili, che infrangevano deliberatamente l’etichetta accademica. Questa virulenza, studiatissima, era utilizzata narcisisticamente da Housman come strumento utile alla creazione del proprio mito, e ricorda l’aggressività con cui Catullo investiva i poetastri suoi contemporanei (ma con una fondamentale differenza: Catullo si mostrava sprezzante e passionale; Housman sprezzante e gelidamente sarcastico).

L’attività filologica di Housman era interamente rivolta alla critica del testo; egli cercava cioè di stabilire ciò che gli autori classici avevano scritto e cosa intendevano dire scrivendolo. Poiché delle opere letterarie greche e latine noi non possediamo originali, dobbiamo cercare di ricostruire il testo genuino sulla base di manoscritti più tardi, che sono copie di copie dell’originale. Non di rado, però, il testo offerto dai manoscritti è privo di senso, o comunque non è attribuibile all’autore che dovrebbe averlo concepito, perché gli amanuensi, per ignoranza o distrazione, non sempre trascrivevano esattamente le parole del modello. In questi casi il critico deve percorrere la via dell’emendazione congetturale, cercando di divinare ciò che l’autore ha scritto. Housman, che della congettura era insuperabile maestro, attribuiva all’attività emendatoria nella sua forma più alta un elemento artistico, legato al talento naturale, cioè alla capacità quasi negromantica, che a pochissimi tocca in sorte, di far rivivere la voce degli antichi autori ritrovandone, con la forza dell’intuito, le parole apparentemente perdute per sempre. La critica del testo, d’altro canto, secondo Housman non richiede solo talento naturale, ma anche erudizione e raziocinio.

All’uso del pensiero nella pratica filologica Housman, che era un forte ragionatore, dedicò nel 1921 una famosa conferenza, «The Application of Thought to Textual Criticism», che a un secolo di distanza è stata per la prima volta tradotta in italiano da Luigi Battezzato, uno dei migliori grecisti italiani: L’applicazione del pensiero alla critica del testo (Pisa, Edizioni della Normale, pp. 142, euro 10,00). Nel corso della conferenza Housman dà la sua definizione di critica testuale («la scienza di scoprire errori nei testi e l’arte di rimuoverli»: p. 53 dell’edizione italiana), e sottolinea con incisiva eloquenza quanto per il critico sia importante applicare correttamente il pensiero: «l’applicazione del pensiero alla critica del testo dovrebbe essere alla portata di chiunque sia in grado di applicare il pensiero a una qualsiasi cosa. Non è, come il talento per la critica del testo, un dono di natura, ma un’abitudine; e, come altre abitudini, la si può formare. E, una volta formata, benché non possa riempire lo spazio lasciato da un talento che manca, può modificare e minimizzare i cattivi effetti dell’assenza del talento» (p. 56). Non mancano, naturalmente, le sferzate alla «marmaglia» dei cattivi critici del testo, ottusi, incapaci di pensare per pigrizia intellettuale o settarismo, contrapposti all’aristocrazia filologica costituita da figure quali J.J. Scaliger, N. Madvig, F. Ritschl, M. Haupt, a cui Housman si associa. Nelle pagine di Housman campeggia il ritratto di uno sciocco tra gli sciocchi, il grigio erudito italiano T. Vallauri, che polemizzò incautamente con il più acuto Ritschl a proposito del nome di Plauto (pp. 61-63).

Battezzato ha tradotto la prosa di Housman, vivace e puntuta, con precisione, e ha corredato il testo di note esplicative e di un denso saggio introduttivo, in cui la conferenza viene contestualizzata nella produzione housmaniana e viene giustamente ribadita la matrice illuministica (l’oraziano/kantiano «sapere aude!») del protrettico di Housman all’autonomia di giudizio. Molto interessanti sono le pagine in cui Battezzato analizza i fallaci processi logici dei critici ottusi evocati da Housman, e per converso il retto ragionare dei critici virtuosi, alla luce di categorie delle scienze cognitive.

Non mancano gustose curiosità poco note: chi scrive ignorava, ad esempio, che Housman e Wittgenstein fossero vicini di stanza al Trinity College di Cambridge. A Battezzato va anche il merito di aver trascelto e edito per la prima volta, in collaborazione con Catherine Conybeare, alcuni appunti presi da Housman in un taccuino di lavoro (il «Notebook X») ora conservato negli Stati Uniti, presso la biblioteca del Bryn Mawr College. Si tratta di brevi annotazioni polemiche – coerenti con il tema della conferenza sull’applicazione del pensiero alla critica testuale –, delle quali Battezzato dà non solo il testo inglese, ma anche una traduzione e un commento. In alcuni di questi frammentini polemici (in particolare nel seguente, «il commento ad Orazio di Lucian Mueller è il lavoro di un uomo che desidera scoprire quel che scrisse Orazio. La maggior parte dei commenti ad Orazio sono l’opera di uomini che pensano di saperlo già, e hanno paura di scoprire di non saperlo») Housman appare all’apice della sua algida, elegante perfidia.

Chiude il volume, a mo’ di postfazione, un brillante saggio di Gian Biagio Conte, maestro di color che sanno nell’ambito della filologia latina, che esamina, adoperando gli strumenti forniti dalle scienze cognitive, i meccanismi mentali che hanno condotto Housman e altri grandi filologi (tra cui N. Heinsius e E. Baehrens) a escogitare congetture genialissime.

Insomma, dobbiamo essere grati a Battezzato, a Conte e alle Edizioni della Normale per questo libro, ottimamente curato e molto economico, che ripropone all’attenzione uno scritto essenziale per ogni aspirante critico del testo, e offre agli specialisti preziosi stimoli, imbastendo un dialogo che si prospetta fecondo tra scienze cognitive e filologia classica.

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