La fama di Houria Aïchi è legata soprattutto alla sua interpretazione, consegnata ad un album del ’90, di canti del Aurès, regione montuosa dell’est dell’Algeria, abitata da una popolazione berbera, di cui è originaria. Ora torna sul tema delle espressioni della religiosità popolare a cui aveva già dedicato un album nel 2001: il suo approccio pan-algerino è doppiamente interessante, perché da un lato valorizza quella diversità regionale e culturale che l’Algeria post-indipendenza ha sempre fatto fatica ad accettare, e dall’altro mostra la grande diffusione nelle più varie parti del paese di una religiosità spontanea, in contrasto con la rigidità dell’impostazione islamista. Sono canti trasmessi per tradizione orale, eseguiti a matrimoni, veglie funebri, circoncisioni, di cui Houria Aïchi rende il fascino con arrangiamenti essenziali, accompagnata da voci, percussioni e poco altro. Nel 2001 si trattava innanzitutto di prendere posizione contro l’integralismo, adesso, passati quasi vent’anni, anche di salvare un patrimonio dal declino sempre più accelerato della dimensione religiosa nella società.