Un minuto e mezzo, e sono state distruzione e morte. La valanga all’origine della tragedia consumata a Rigopiano, nel comune di Farindola (Pescara), il 18 gennaio 2017, si è staccata dal Monte Siella, cima minore del gruppo orientale del Gran Sasso, alle 16.41.59. Scendendo a valle è entrata in un canyon, sradicando centinaia di piante e trascinando massi, e alle 16.43.20 ha centrato l’Hotel Rigopiano alla velocità di circa 100 chilometri orari.

Il dramma si è consumato in 90 secondi. E quelle tonnellate di neve che si sono abbattute sull’albergo, dilaniandolo, sono costate la vita a 29 tra lavoratori e ospiti. Evento che dal punto di vista geologico è stato ora ricostruito in una ricerca, pubblicata sulla rivista Scientific Reports, dall’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), dal Politecnico di Torino, dallo svizzero Wsl Institute for Snow and Avalanche Research SLF di Davos e dall’Osservatorio di Geofisica dell’Università di Monaco.

Sono state tre le fasi in cui si è propagata la valanga, ha spiegato uno degli autori dello studio, Thomas Braun, dell’Ingv. Per ricostruirle, ha osservato, «prima di tutto abbiamo ristretto la finestra temporale in cui è avvenuta la valanga» e per farlo «ci siamo basati sulla cronologia e sul contenuto delle chiamate e dei messaggi di emergenza inviati dall’hotel». È emerso così che alle 16.30 è avvenuta l’ultima chiamata dal resort e alle 16.54 c’è stato un tentativo di invio di un messaggio WhatsApp di richiesta di aiuto da una delle persone rimaste bloccate dalla neve. Di qui la possibilità di restringere la finestra temporale a 24 minuti.

«Successivamente – ha aggiunto Braun – abbiamo cercato segnali sismici ipoteticamente generati dalla valanga. In quel periodo eravamo nel pieno dei terremoti dell’Italia centrale, con epicentri a circa 45 chilometri a Ovest di Rigopiano» ed è così che, «analizzando i segnali registrati dalle stazioni sismiche, abbiamo notato che la quella posizionata sotto il Gran Sasso, aveva registrato un segnale anomalo nei 24 minuti identificati come finestra temporale del distacco della valanga». A quel punto, ha detto ancora il ricercatore, «abbiamo studiato il contenuto spettrale e la direzione di provenienza, osservando così tre distinte fasi sismiche avvenute a distanza di pochi secondi».

Resta da capire come mai una valanga, che si muove in superficie, possa trasmettere energia sismica nel sottosuolo. «La ricostruzione dell’evento – ha proseguito Braun – ha evidenziato che la valanga nella discesa verso valle ha percorso in tutto 2.400 metri e ha travolto alberi e rocce, cambiando massa con incremento continuo del proprio peso specifico. Oggi sappiamo che la velocità con cui la slavina ha colpito l’albergo è stata di 28 metri al secondo, quasi 100 chilometri orari».