«Al pari della creazione, anche la morte del sistema solare avverrà con maestoso splendore», si legge all’inizio di Apocalisse nel Deserto. Si tratta di parole che il regista Werner Herzog attribuì a Pascal ma che in realtà scrisse egli stesso, prima di incendiare il nostro sguardo nell’orrore e nella magnificenza delle sue «lezioni nelle tenebre», una fanta-citazione che ho ricordato innumerevoli volte viaggiando per le terre americane di un futuro remoto in Horizon II, spazio di un dopo apocalisse che scivola verso una nuova catastrofe definitiva ma dal quale si propaga appunto una violenta bellezza, la reazione brutale della vita nella volontà di preservarsi.

Persino laddove la natura è afflitta dalle tossiche fioriture scarlatte del Miasma Rosso, i panorami di Horizon II brillano al sole e si oscurano nella notte con una leggiadria che risulta consolante e nel contempo affligge, riportandoci dallo spazio virtuale alla realtà di un mondo in bilico e dalle speranze sempre interrotte. Horizon II, nella sua fantascienza che non vorrebbe anticipare nulla ma tentare invece una propedeutica umanista, risulta quindi un videogioco che astrae dal presente con la forza del suo mondo così possibile e affascinante che ci respinge di nuovo con intento filosofico verso la quotidianità, proponendoci una riflessione sull’umanità e sulla sua ancestrale volontà di auto distruzione e preservazione, una specie aliena e insieme parte di un pianeta come la fauna robotica che abita le lande del videogioco degli olandesi Guerrilla Games.

Seguito del videogame uscito nel 2017, Horizon II Forbidden West solo per Playstation 4 e 5 si svolge pochi mesi dopo il primo episodio, proponendo una nuova missione salvifica dopo un’illusione di vittoria, proiettandoci ancora nel corpo di Aloy, la ragazza dai capelli rossi che fu reietta. Giocare, diventare, questa forma marziale e dolente, femminea e bellissima proprio perché non è proiezione di libido virile come tante donne dei videogiochi soprattutto vecchi, è cosa illuminante e strana in modo bello, m’è parso come se leggessi una Divina Commedia (sensazione soggettiva, ma tutto nei videogame è soggettivo) dove fosse Beatrice a compiere il viaggio dall’inferno al paradiso invece che Dante; non perché anche in altri giochi «mainstream» latitino grandi protagoniste, ma perché Aloy risulta più plausibile e trasgressiva nel farsi vettore di una storia avventurosa comunque classica nelle sue dinamiche, riscrivendo questo genere ludico spesso troppo sfruttato almeno nella narrazione.

Aloy dovrà viaggiare verso un ovest proibito, luogo immenso e lussureggiante che ci porterà fino ad una Las Vegas sepolta ma animata ancora da lucenti ologrammi e oltre ancora, a San Francisco che giace splendida e rotta, un rudere verde e annacquato.

Rispetto al primo episodio, la cui narrazione è diluita, talvolta dispersa, da decine di attività poco incisive che non smorzano tuttavia la potenza di un mondo futuristico e selvaggio così affascinante, Horizon II Forbidden West è invece un grande contenitore di storie, un’opera ricchissima di attività e racconti interattivi opzionali che compongono un affresco enorme annodandosi alla narrazione principale. Queste «missioni secondarie» lo sono solo per definizione perché sono fondamentali per la comprensione del valore di Horizon II e per l’edificazione del suo immaginario, oltre che per la scoperta del mondo di gioco attraverso il quale ci costringono lieti e coinvolti a viaggiare, rivelando ogni sua meraviglia in escursioni avventurose e sorprendenti.

Non trascurate quindi l’opzionale in Horizon II, perché contempla storie, personaggi e panorami che sarebbe persino ingiusto non esplorare, smarrendo così il racconto di un’anziana guerriera e dei suoi fiori, quello di una pericolosa ascesa iniziatica verso la vetta di un monte o quello della sopravvissuta tra le rovine di un villaggio distrutto da una frana. Ci perderemmo inoltre così la possibilità di discendere in sotterranei e «gigeriani» spazi meccanizzati, di calare dai monti in una lunga planata verso valle mentre il tramonto sembra eternarsi, di volare cavalcando un areodattilo robot, di immersioni in clautrofobiche e scintillanti cave sommerse, di esplorare gli spazi infranti di antichi ed enigmatici edifici solo per trovarvi una reliquia.

Horizon II è anche, ovviamente, lotta contro le macchine impazzite che vagano per spiagge, deserti, selve, ghiacci, radure e paludi oltre che con umani incattiviti e, soprattutto se giocato a difficoltà elevata, questi scontri risultano spettacolari, ostici e strategici. Si può combattere con l’arco e le sue varie tipologie di frecce, piazzare trappole, utilizzare lance o lame rotanti, nascondersi colpendo alle spalle o dimostrarsi al nemico. Sono tante di più le opzioni marziali e difensive rispetto al primo episodio, così come risulta assai più vasto il bestiario meccanico.

Impressionante da guardare, tanto che spesso si guarda e basta, immobili davanti al sorgere di una nuova alba o nella contemplazione di un bosco battuto dalla pioggia o delle onde lunghe che bagnano una riva, Horizon II Forbidden West è quindi un prodigio tecnologico che non esclude tuttavia una tensione poetica e artistica senza le quali un videogioco anche se stupefacente in superficie sarebbe solo un passatempo, cosa non del tutto negativa, anzi, ma allora meglio Tetris o Pac-Man.

Degna di nota per la sua varietà e complessità, come quella di alcuni videogiochi giapponesi (Nier, Xenoblade, il recente Tales of Arise), è la colonna sonora che trascorre dal lirismo di un epica sconsolata alla martellante brutalità tecno, elettronica e metallica della macchina.

Epopea fanta-etologica e soprattutto fanta-antropologica, Horizon II Forbidden West va giocato con lentezza, approfondito e meditato, senza saltare nessuna delle sue «pagine» mentre Aloy con abnegazione tenta di condurci verso un fittizio mondo migliore nella terrorizzante, belligerante incertezza di un mondo sempre peggiore.