L’Europa delle banche è sorpassata, ormai, quella futura sarà l’Europa dei droni. O meglio dei sistemi di sorveglianza automatizzati. Si chiama Horizon 2020 la trave portante della nuova architettura europea. Un nome pomposo per un progetto molto ambizioso che rimodellerà diritti e abitudini dei cittadini, facendoli assomigliare ad un incubo tipo Matrix.

Perché dopo la moneta unica, il passo successivo che è stato deciso dalla tecnocrazia di Bruxelles per arrivare a una reale integrazione europea riguarda il settore della sicurezza. A partire dalle frontiere per arrivare ai controlli delle conversazioni telefoniche e ai filtraggi delle attività sui social media. Tutto in un’ottica di prevenzione dei rischi: dalle catastrofi naturali al terrorismo, dal cybercrime alla prevenzione di sommosse e crisi sociali ai traffici di droga, passando per l’integrazione degli interventi europei in caso di interruzioni temporeanee di servizi e approvvigionamenti idrici e energetici in un singolo paese o in una zona dell’Europa. Tutto ruota però attorno ai grandi movimenti di esseri umani e al controllo, satellitare e non, delle frontiere esterne e interne all’Unione.

Horizon 2020 è dotato di un fondo da 77 miliardi di euro ma questa cifra, pur nella sua enormità, è solo una parte dell’investimento che le istituzioni europee hanno fatto e che servirà a catalizzare su questo campo ricerca scientifica avanzata, innovazione industriale, produzione di sistemi da esportare all’interno del bacino d’azione, l’area del Mediterraneo, e fuori, oltre a condizionare l’impiego delle risorse dei singoli Stati.

Prima di Horizon 2020 infatti ci sono stati sette «programmi quadro»: così sono stati definiti i piani pluriennali di sviluppo di un programma di architettura sociale ora intitolato: «Società sicure: tutelare la libertà e la sicurezza dell’Europa e dei suoi cittadini».

Il piano Società sicure, che è un po’ la filosofia di tutto l’impianto, è stato diffuso proprio ieri dalla piattaforma di data-journalism StateWatch, che porta avanti da anni l’eredità di Snowden pubblicando rapporti della Commissione europea, con tanto di budget e rimandi ai piani specifici su ogni singolo aspetto del progetto complessivo, progetti dai nomi poetici – Bridges, G-Sextant, G-Mosaic, SeaBilla- cofinanziati dalle grandi agenzie europee – da Frontex all’Agenzia spaziale europea, l’Esa – e dalle corporation industrial-militari come Finmeccanica, Thales, Bae system e molte altre, ma anche da università e centri di ricerca in Italia e negli altri 27 Stati membri, progetti ai quali spesso collabora come partner anche la Nato. E non solo.

Nell’ambito del progetto Perseus, attivato nel 2011 e appena terminato (32 partner tra cui la Nato e 13 paesi tra cui l’Italia, costo totale 42 milioni di euro di cui 27 a carico della Ue), servito come per traghettare il know-how acquisito nel settimo Piano Quadro nella nuova cornice di Horizon 2020, si prevede anche la realizzazione di un aliante subacqueo senza equipaggio, un drone marino dotato di idrofono, cioè di un sistema acustico computerizzato per captare gli impulsi sonori da varie sorgenti e decodificare i segnali. Il drone marino attraverso appositi algoritmi sarebbe in grado di classificare i natanti, la loro grandezza e il loro carico.

L’Ue ha recentemente stanziato 24 milioni di euro per la ricerca di nuovi prototipi di droni «made in Europe», all’interno del «Security research programme», un programma da 1,7 miliardi di euro. Oltre ai droni ci sono radar, motovedette, nuovi aeromobili e data-system in grado di realizzare modellini in 3D o di filtrare enormi quantità di dati da conversazioni telefoniche di dispositivi fissi e mobili, tablet e smartphone. C’è anche un progetto di ricerca per valutare i possibili rischi di perdita della privacy (3 milioni di euro). Ma è dieci volte più ricco il budget del biennio 2015-2016 per studiare un metodo di screening a distanza del comportamento deviante, «non conforme» in situazioni di calca, una sorta di prefiltraggio che limiti l’utilizzo di personale di frontiera.

Il progetto dovrà studiare anche il quadro giuridico dell’implementazione di un simile sistema e gli eventuali rischi sociali. Si legge espressamente che «si tratta anche di valutare l’accettabilità da parte della società di una perdita parziale della privacy oltre ai rischi di discriminazione». Ne fa parte il progetto Tass, Total Airport Security, guidato dalla società israeliana Verint System, con partner come la Bae System britannica per l’integrazione dei sistemi di controllo aeroportuali.

Nel sogno dei tecnocrati – Società sicure – si descrive un’Europa dove un viaggiatore, a seconda dei parametri biometrici rilevati a distanza e dello screening informatico sui suoi rapporti, sarà giudicato «conforme» e quindi passerà veloce, «senza rallentamenti» ai varchi di frontiera. E altri – è facile immaginare chi – invece saranno sottoposti a controlli e respingimenti.