Ci voleva lei, figlia di una diaspora cosiddetta «minore» (vive a Londra) per riportare a casa, Horace Silver, l’hard bopper visionario, capace di schiudere nuovi orizzonti al jazz, con cui Carmen Souza condivide le origini capoverdiane. È stato il bassista portoghese Theo Pascal a fargli scoprire la musica e la biografia di Horace Silver e lei si è incuriosita specialmente dopo aver saputo che lui era di padre capoverdiano, a tal punto da includerlo successivamente come presenza fissa del suo repertorio, re-interpretando in chiave «world», una fusion tra il jazz e la ricca tradizione musicale di Capo Verde, le composizioni del pianista statunitense, con adattamenti in creolo.  Souza fa proprio  un brano come Song for My Father, trasformandolo in una dedica al proprio padre con un testo in creolo e un adattamento in chiave di coladera, così come Cape Verdean Blues, l’omaggio più esplicito di Silver alle proprie radici (ancorché astratto) profuma, nella versione di Souza, del folklore dell’arcipelago, mentre Pretty Eyes è invece in stile più jazz, ma il meglio viene con Silver Blues, per la vocalità della cantante che assume un’espressione blues. Un repertorio confluito ora in The Silver Messengers, omaggio al tocco capoverdiano di Horace Silver.