Ribaltando la sentenza di primo grado, la corte di appello di Hong Kong ieri ha condannato al carcere tre dei leader più in vista della «rivoluzione degli ombrelli», l’insieme di manifestazioni anti cinesi svoltesi nell’ex colonia britannica durante il 2014.

LE PROTESTE NACQUERO a seguito della decisione di Pechino di non concedere alcuna possibilità a una futura riforma del sistema elettorale dell’isola; di fronte a questo comportamento da parte di Pechino molte persone scesero in piazza, portando non solo le istanze della specifica questione elettorale, ma un più generale fastidio nei confronti della Cina continentale, i cui artigli ormai si estendono sempre di più nella vita politica ed economica di Hong Kong.

NUMEROSE NEL TEMPO sono state le polemiche tra gli abitanti di Hong Kong e la presunta «invasione» di cinesi; più in generale gli abitanti della città stato tengono a sottolineare la propria vocazione democratica, accettando – loro malgrado – il concetto di «un paese, due sistemi» che ha segnato l’handover cinese dalla Gran Bretagna nel 1997 e che è stato ricordato di recente da Xi Jinping, in visita sull’isola proprio per celebrare quello storico passaggio.

I TRE ARRESTATI sono Joshua Wong, Nathan Law e Alex Chow. La sentenza inasprisce, su richiesta del dipartimento della giustizia di Hong Kong, le pene inizialmente imposte: a Wong e Law erano stati assegnati i lavori socialmente utili; mentre Chow era stato condannato a tre settimane di prigione con libertà condizionale. Il tribunale d’appello, invece, ha deciso invece di imporre otto mesi di carcere a Law, sette a Chow e sei a Wong. Quest’ultimo, una volta appreso il verdetto, ha scritto su Twitter: «Potrete rinchiudere i nostri corpi ma non le nostre menti, vogliamo democrazia a Hong Kong e non ci arrenderemo». Chow ha sollecitato a «perseverare malgrado i tempi difficili» s. pie