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Holmes, gli eroi del favoloso romanzo della scienza

Holmes, gli eroi del favoloso romanzo della scienzaJoseph Wright of Derby, Filosofo tiene una lezione sul planetario meccanico, 1766, Derby Museum Art Gallery

Generazione di romantici Mongolfiere, lumi a gas, telescopi... Dall’astronomo Herschel al chimico Davy, in otto biografie Richard Holmes racconta L’età della meraviglia, tra fallimenti e scoperte: da Orville Press

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 4 febbraio 2024

Nel secolo deista, il Settecento inglese, una folla di amanti della natura promosse la crescita avventurosa della ricerca scientifica. «La natura e le leggi della natura erano nascoste nella notte, / Dio disse ‘Che Newton sia’ e tutto fu luce» aveva scritto Pope. Il protestantesimo si era evoluto in razionalismo, e le razionali leggi di natura erano iscritte anche nel cuore umano. Una religione naturale giustificava la signora alla moda studiosa dei fossili, il giovane intraprendete che organizzava spedizioni nelle Americhe, il chimico, il botanico, l’astronomo, il «meccanico» che inventava strumenti nuovi, il linguaggio degli artigiani londinesi. A scegliere, indirizzare, dirigere quell’impresa collettiva e inizialmente anonima fu la Royal Society. Fondata a Londra il 15 luglio 1662, la Royal Society incoordinò la passione sperimentale di ingegnosi dilettanti e arditi esploratori, scoprendo gradualmente nuovi campi di ricerca e modalità nuove di inserimento in economia e in politica, preparando quella che fu chiamata la Rivoluzione Industriale di fine secolo. «No ideas but in things», niente idee se non nelle cose: era il motto che imponeva allo sperimentatore un linguaggio diretto, vicino alla matematica, inerente alle cose, «tante parole tante cose».

All’ambizioso scienziato occorrevano grandi doti personali: vasta cultura, audacia nella sfida all’autorità del passato, all’ossequio del già detto, e immaginazione visionaria per il futuro, unita ad abilità pratiche. Grotteschi fallimenti e splendide scoperte si avvicendarono negli anni. Incauti sperimentatori rischiarono la vita in pericolosi tentativi, sfortunati viaggiatori non fecero ritorno dalle selve nigeriane. Nel poderoso volume di Richard Holmes L’età della meraviglia Come la generazione dei romantici scoprì la bellezza e il terrore della scienza (traduzione di Lisa Topi, Orville Press, 32 immagini di oggetti, ritratti singoli e di gruppi, pp. 687, euro 30,00) è narrata – con ricca bibliografia – la storia di quella stagione straordinaria. Holmes è un narratore partecipe sia della fisicità del linguaggio, sia dei protagonisti stessi che degli oggetti da loro prodotti, dalle poesie alle sorprendenti invenzioni: mongolfiere, lumi a gas, telescopi, dipinti di ritratti o foto… Possiede la larghezza di vedute e d’animo del narratore ottocentesco, non ha fretta, crede nella sua causa e vuole convincere i lettori. «Il sempiterno conflitto tra due culture, l’umanistica e la scientifica – e in particolare la matematica – non è più una limitazione accettabile. È necessario capire in che modo si fa la scienza; come pensano e sentono e teorizzano gli scienziati. È necessario indagare che cos’è che rende uno scienziato creativo, esattamente come avviene con la poesia, la pittura e la musica. È così che questo libro è nato».

Le biografie di otto scienziati, personaggi del glorioso romanzo della scienza, testimoniano della vita intima e mondana delle personalità più notevoli, l’astronomo tedesco William Herschel e il chimico Humphry Davy, e il loro entourage familiare di assistenti, amici. Figura centrale guida e promotore, fu il presidente «più longevo, navigato e influente, Sir Joseph Banks», nominato nel 1778, a soli trentacinque anni dopo un viaggio sfortunato a Tahiti. Lui sceglie l’esperto migliore, decide il progetto, lo finanzia e lo promuove. L’alta società londinese lo adottò. L’alone carismatico che lo circondava sedusse anche il fragile poeta preromantico, John Cowper: «Egli viaggia e io con lui». Reynolds lo ritrasse nel suo studio: «i capelli scuri senza cipria, in disordine, la giacca foderata di pelliccia lasciata aperta, il panciotto sbottonato, la mano appoggiata su una pila di pagine sparse del diario – mai pubblicato – e all’altezza del gomito un mappamondo». Holmes ama narrare il ritratto come fosse la prova più virtuosa della sua qualità di biografo, biografo umanista, preoccupato di dare un volto o il profilo di un corpo allo scienziato creativo, documentare quella rara mente, e il prezioso residuo della sua vita, lo stile, la vivace aneddotica in assenza di date storiche, l’empatia del personaggio nostro amico.

Così è ricordata Caroline, la sorellina del grande astronomo Herschel, la «cacciatrice di comete», ben sei. L’unico suo ritratto è una graziosa miniatura. «Il profilo sottile ed elegante sembra quello di un ragazzo … La bocca carnosa e imbronciata, la lunga chioma ricciuta». Holmes avverte: «Ha un che di satiresco», di primigenio per l’occhio moderno. Forse mai prima scienza e magia, sperimentatori e stregoni, parola della cosa e parola dell’immaginario si erano trovati in tale prossimità. Si era compiuta la crisi della consolatoria poetic diction neoclassica, iniziata dalla descrizione realistica di un mattino di pioggia a Londra, dovuta al sardonico Swift. La questione della lingua scientifica proposta inizialmente da Thomas Sprat nella History of the Royal Society (1667) fu ripresa dai romantici Wordsworth e Coleridge nella prefazione alle Lyrical Ballads del 1800. «I meravigliosi guizzi visionari di Coleridge contribuirono a formare il concetto moderno di creatività e di immaginazione» ( Holmes, 1998). Keats e Shelley, la seconda generazione, immaginarono nuove realtà esotiche. Keats diede copia del suo Endimione al giovane esploratore Richtie, con la raccomandazione di gettarlo nel cuore del deserto del Sahara.
A metà del secolo l’Africa era venuta di moda, grazie alla appassionata missione che l’eccezionale William Wilberforce aveva lanciato per l’abolizione della schiavitù. Nel 1787 fondò la Society for the Abolition of the Slave Trade, nel 1807 il breve governo whig con Charles James Fox ottenne una importante affermazione, nel 1833 passò finalmente The Slavery Abolition Act. Eroe e vittima delle prime esplorazioni africane era stato Mungo Park, scelto da Banks, interessato alla scoperta geografica dell’Africa centrale, in particolare le sorgenti del Nilo. Al suo ritorno, Park pubblicò nel 1799 un diario di viaggio che conteneva A Negro Song di Georgiana Spencer Cavendish (di cui si è già scritto in queste pagine). Un coro di donne africane compiange la sorte del bianco Park: «Il vento ruggiva e la pioggia cadeva. Il povero uomo bianco, debole e stanco, è venuto a riposarsi sotto il nostro albero. Egli non ha sua madre che gli porti il latte, non ha sua moglie che gli macini il grano. Coro: povero uomo bianco che una madre non ha». Con licenza da romanziera quale era, Georgiana riconosce la condizione dell’uomo bianco come pari a quella dell’uomo nero che attende la liberazione dalla schiavitù. L’umanità tutta condivide ancor oggi una simile attesa.

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