Gli sceneggiatori di Hollywood sono sul punto di entrare in sciopero. Sarebbe la prima volta in dieci anni che a incrociare le braccia troviamo gli scrittori rappresentati dalla Writers Guild of America (WGA) storico sindacato di una categoria non nuova alle vertenze nella fabbrica del cinema o, per usare il neologismo attualmente in auge, dei «contenuti». Lunedì  scorso oltre il 90% dei 20000 iscritti alla WGA di Los Angeles e New York hanno autorizzato uno sciopero nel caso non venisse raggiunto un accordo con gli studios per il rinnovo del contratto che scade il primo maggio. Martedì il sindacato ha predisposto un fondo speciale in caso di fermo dei lavori.

Dieci anni fa uno sciopero WGA durò dieci settimane paralizzando la produzione e costando centinaia di milioni di dollari. (le stime parlano di un danno di due miliardi di dollari solo all’economia della California). Allora come oggi il disaccordo riguarda i compensi. Nel 2007 gli studios proponevano di abolire i residuals, i diritti d’autore sugli incassi che da sempre costituiscono un supplemento nel tariffario hollywoodiano. Oltre al pagamento della prestazione, infatti, l’ingaggio di uno scrittore prevede che questi percepisca anche una percentuale legata agli incassi di botteghino o ai passaggi televisivi (dieci anni fa la vertenza riguardava in particolare i compensi per i DVD).

Sin dai tempi delle videocassette ogni sviluppo tecnologico ha dato luogo a negoziati sindacali che hanno provocato scioperi degli autori,  nel 1988 e di nuovo nel 2001, senza che i problemi venissero del tutto risolti. Tradizionalmente gli studios hanno fatto di tutto per aggirare le rivendicazioni degli autori. E l’emergere del reality come format televisivo ha offerto ai produttori l’opportunità di scavalcare gli sceneggiatori in tempi di conflitti sindacali.

La situazione si è ulteriormente complicata coi passaggi sui nuovi media e sulle piattaforme come il pay per view e lo streaming. Allo stato attuale uno sceneggiatore può percepire i diritti d’autore sui passaggi televisivi, ma non ad esempio per quelli delle visioni via internet o cellulari che in alcuni casi – vedi la programmazione per ragazzi della Disney – costituiscono ormai la maggioranza degli ascolti.

Paradossalmente l’attuale vertenza avviene sullo sfondo della decantata «età dell’oro» della produzione televisiva. Il boom delle serie ha creato un enorme volume di lavoro e la produzione episodica su cavo e streaming è considerata un «writers medium» in cui creatori e showrunner hanno una importanza prevalente rispetto a registi e star. Ma se i titoli si moltiplicano – stando ai dati WGA l’anno scorso sono state prodotte ben 301 serie di fiction – la maggior parte sono composte da meno episodi, una media di dieci rispetto ai venti-venticinque episodi l’anno che costituivano in precedenza una tradizionale stagione televisiva. La maggiore qualità delle attuali fiction significa che Game of Thrones impiega un anno per produrre dieci puntate mentre Friends ne faceva venticinque; una perdita netta per gli sceneggiatori tenuti a clausole di esclusività e compensati ad episodio.

A fronte della richiesta sempre maggiore di fornire contenuti a piattaforme che si moltiplicano esponenzialmente, il meccanismo industriale degli studios favorisce i conglomerati di cui fanno parte – e che oggi comprendono nuovi giganti come Netflix e Amazon, protagonisti della «integrazione digitale» che sta rivoluzionando il business.
Più produzione, più lavoro e più guadagno per il complesso Silicon-Hollywoodiano hanno insomma una unica costante nello sfruttamento della forza lavoro creativa. Un copione si direbbe che a Hollywood è ben sperimentato.

Si stima che l’attuale divario fra le richieste degli scrittori e l’ultimo pacchetto proposto dagli studios sia di circa 350 milioni di dollari. Se dopodomani dovesse effettivamente venire dichiarato lo sciopero, i primi a risentirne sarebbero i talk show serali che dipendono  dal lavoro quotidiano delle writers room per le satire politiche quotidiane (genere in forte revival in regime Trump). In seguito verrebbero interrotte le soap opera pomeridiane, anche queste produzioni con pochi giorni di anticipo sulla messa in onda.

Se la vertenza dovesse prolungarsi per molte settimane gli effetti potrebbero ricadere anche su cinema e serial. Gli studios sono avvantaggiati dalla fine ormai prossima dell’attuale stagione ma è pur vero che a maggio  si siglano i contratti pubblicitari per il prossimo anno e l’incertezza data da un eventuale sciopero potrebbe nuocere alla principale fonte di guadagni di studios e network.

Intanto uno sciopero verrebbe seguito con attenzione dalla galassia di freelance e precari del lavoro creativo, la «manovalanza» dei contenuti originali il cui lavoro sottende un settore dagli enormi fatturati ma dai meccanismi interni di produzione e retribuzione sempre più ambigui in era di post-lavoro e di piattaforme «social».