Di giorno, Vladivostok, con i suoi saliscendi, la sua baia traversata dall’avveniristico Golden bridge, i suoi cafè eleganti, le sue case in legno, somiglia ad una San Francisco alla quale un’ipotetica invasione sovietica avrebbe imposto il cirillico. Di sera, nei bar underground del porto, si trasforma in una specie di New York punk e, a poco prima che venga il mattino, sulla Svetlanskaya, il nastro di asfalto a sei corsie che costeggia la baia, mentre sfreccia un’automobile o un camion, sembra di vagare nella Los Angeles di Michael Mann. Per lungo tempo è stata il principale sbocco della marina militare sovietica sul Pacifico e perciò la città è stata chiusa agli stranieri fino all’inizio degli anni novanta.
Da allora, Vladivostok è un porto franco dove prospera il contrabbando di auto usate dal Giappone e dalla Corea del sud. La benzina costa 35 rubli al litro, meno di un euro. La riuscita sociale si misura, assai concretamente, con la taglia dei SUV, i quali sembrano non avere limiti di dimensione… La domanda è: questa versione slava della California ha una sua Hollywood ? Per il momento, c’è un tappeto rosso di colore blu. Il giorno dell’apertura del Pacific Meridian film festival (13-20 settembre), tutti gli invitati sono collocati sotto una tenda dietro al teatro dell’opera. Una berlina viene a raccoglierli e li fa scendere a gruppi di due o tre davanti all’ingresso, dove li aspettano i fotografi e una piccola folla, moderatamente esultante.

La cerimonia inizia bene con un sobrio omaggio a Chaplin. Ma le actobazie di Charlot lasciano il campo ad un circo fatto di foto gigantesche con le icone dei membri della giuria, di balletti e di numeri vari accompagnati da musiche da fossa e da discoteca… Tutti si alzano in piedi ad applaudire il direttore che, dopo aver salutato il governatore (putiniano) e avergli augurato buona fortuna per le elezioni (verrà rieletto cinque giorni dopo), riceve egli stesso un premio dal festival: «miglior direttore». Della programmazione, si parla relativamente poco. La serata è essenzialmente mondana e i presenti in sala si ritroveranno soprattutto ai buffet delle feste che, organizzate ogni sera, appaiono pantagrueliche ma si dice siano una pallida imitazione dei fasti di quando la moglie del governatore, un’attrice moscovita, si occupava personalmente degli eventi.

Nascosto dietro alle luci della ribalta, c’è nondimeno un vero festival che, anche se per un pubblico ristretto, cerca di darsi un’identità e di ritagliarsi uno spazio. Andrei Vasilenko, artista e curatore, si occupa di selezionare la parte più radicale del programma e quest’anno ha organizzato, tra le altre cose, una retrospettiva integrale dei films di Wang Bing. Per il pubblico dei cinefili locali (un gruppo ristretto ma agguerritissimo, capace di maratone da premio Stakhanov) è l’occasione di entrare in contatto con i fiori scelti della produzione indipendente di cinema e video arte da tutto il mondo. Il visitatore esterno, viene invece con la speranza scoprire, nella competizione, tendenze e nomi nuovi del cinema russo.

Due tra i laureati di quest’anno fanno precisamente parte di questa categoria. Il «miglior regista» è Ivan Tvedorvsky, alla sua prima opera: The Correction Class. Una ragazza portatrice di handicap è inserita in una classe per studenti che hanno ritardi di vario genere. Gli insegnanti sono odiosi, i compagni di classe brutti e cattivi, la protagonista è un piccolo fiore che il mondo calpesta senza pietà…

L’altro film russo, premio speciale della giuria, è più articolato. Blood è un documentario pietroburghese firmato da un produttore, Mila Kudriyashova, che ha lavorato per lungo tempo con Alexander Sokourov e da Alina Rudnitskay – regista, anch’essa, come Tvedorvsky, molto giovane. L’idea del film, piuttosto felice, è quella di seguire un gruppo di infermiere che lavora nel mercato della donazione del sangue e che, portando un ambulatorio in giro nella Russia profonda accoglie schiere di donatori i quali allungano il braccio in cambio di un piccolo rimborso, che in principio serve a far sì che il salassato possa offrirsi una bistecca ristoratrice e che in pratica è un vero e proprio salario.

La circolazione del sangue, dalle periferie povere agli ospedali di Pietroburgo, fa da merce ad una critica dell’economia nazionale ma anche da rivelatore di storie personali del gruppo delle infermiere, e il documentario realista vira piacevolmente nel romanzo. È anche il miglior film visto a Vladivostok.