Assoldare Hollywood per vendere il «sogno cinese». La Cina attraverso il suo leader Xi Jinping ha lanciato lo slogan, nel tentativo di rinverdire sia il patto tra Partito e cittadini, sia soprattutto per affermare un immaginario capace di creare una nuova visione della Cina, solitamente rappresentata in modo negativo nella produzione culturale mediatica mondiale di massa. Ying Zhu è professoressa di Cultura dei Media all’Università di New York e sui rapporti tra potere politico cinese e media ha scritto molto, compreso un libro sulla storia della televisione di stato cinese, intrecciata con le vicende politiche nazionali (Two billion eyes, the story of China Central Television, The New Press, New York, 2012). Al momento sta scrivendo un nuovo volume, che raccoglierà invece l’evoluzione dei rapporti tra la Cina e l’industria cinematografica mondiale, con un focus proprio sugli Usa e Hollywood. Ed è al riguardo che ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande, nel tentativo di fornire un quadro circa l’impegno cinese nell’industria cinematografica mondiale, alla ricerca di soft power e diffusione del «sogno cinese».

«Quello che è certo – spiega Ying Zhu – è il tentativo di spingere al massimo il concetto di «sogno cinese». Il Beijing Daily e il Quotidiano del Popolo ad esempio, hanno pubblicato editoriali per istruire il governo di Pechino e altre amministrazioni locali al fine di lanciare campagne per il «sogno cinese» capaci di diffondere i principi di base per tutti, dai quadri di alto livello ai bambini delle scuole elementari. A Pechino, per esempio, il lavoro di enfatizzazione del «sogno cinese» avviene attraverso la sottolineatura del socialismo con caratteristiche cinesi e lo studio dello spirito del diciottesimo Congresso del Partito, così come attraverso il discorso che Xi Jinping ha effettuato durante i suoi viari viaggi. I media di stato con la loro campagna, chiedono ai cittadini di essere anch’essi responsabili nella realizzazione del sogno cinese collettivo».

Questo per quanto riguarda la propaganda interna, naturalmente. Ma lo sforzo della nuova leadership è ormai da considerarsi mondiale e insiste proprio sull’esempio supremo del sogno americano: Hollywood.
«L’industria cinematografica cinese, con il suo stretto legame con gli studios di Hollywood, è in prima linea nella promozione del soft power cinese a livello globale. Non vi è alcun dubbio circa il potere del cinema nel plasmare le percezioni del pubblico riguardo la cultura. I ritratti dei cinesi e della Cina nei film di Hollywood fino a poco tempo non sono stati particolarmente lusinghieri. I primi film, basti pensare ad alcune pellicole relative alla Cina degli anni ’90 come Kundun, Sette anni in Tibet, e Red Corner erano tutti critici nei confronti del regime cinese, contribuendo a perpetuare la narrativa dominante sulla Cina come stato repressivo e disumano. Nella sua ricerca di attrarre il mercato cinese, Hollywood ha modificato quindi la propria rappresentazione della Cina in questi ultimi anni, offrendo al mondo un ritratto roseo del paese, lasciando fuori le ingiustizie sociali e gli abusi dei diritti umani».

I soldi sono capaci di tutto, purtroppo: anche nell’ambito dell’alchimia misteriosa della celluloide, capace di plasmare gli immaginari: «l’immagine della Cina come una terra promessa e dei cinesi come salvatori del mondo nell’abito di nuovi film di Hollywood potrebbe effettivamente contribuire a sollevare l’immagine della Cina nel mondo, spiega la professoressa, attestando l’efficacia dell’industria cinematografica come soft power. E la Cina è pienamente consapevole di questo potenziale nella sua campagna globale per una nuova immagine. Lo stato cinese sta da tempo corteggiando talenti di Hollywood per modificare l’immaginario collettivo a proposito della Cina. L’ultimo sforzo da parte di Pechino per promuovere la sua influenza culturale all’estero è una campagna per reclutare gli sceneggiatori statunitensi per raccontare e vendere storie sulla Cina. Nel marzo 2013, l’Ufficio Cultura del governo municipale di Pechino ha annunciato un progetto tramite un Concorso Internazionale per incoraggiare sceneggiatori statunitensi a presentare script per lungometraggi e cortometraggi incentrati su Pechino e la sua cultura. I finalisti riceveranno un viaggio spesato a Pechino per incontrare i potenziali investitori. I vincitori riceveranno premi in denaro per un totale di più di 100mila dollari. Si può immaginare quanti affamati aspiranti sceneggiatori a Los Angeles e New York si siano mobilitati per evocare storie positive su Pechino».

E sono arrivati i primi esempi di collaborazione che coinvolgono colossi americani, come spiega la professoressa Ying Zhu: «alla fine di aprile 2013, DreamWorks Animation ha annunciato che collaborerà con il China Film Group su un film di animazione denominato Codice Tibet. La decisione della DreamWorks ha scatenato un acceso dibattito riguardante il ruolo di Hollywood nel raccontare la versione cinese di storie come quella riguardanti i rapporti con Tibet. La Cina, ponendo l’acceleratore nell’espansione del proprio soft power, promuovendo la cultura cinese in tutto il mondo, ha fatto diventare il cinema un importante motore economico. Quale strumento migliore di Hollywood del resto per diffondere il soft power cinese?»
Naturalmente non è un percorso univoco: la Cina apre il portafoglio, ma chiede, al solito, qualcosa in cambio: «pur consentendo alle produzioni hollywoodiane di un certo tipo ad entrare in Cina, l’industria cinematografica cinese ha chiesto ad Hollywood di ricambiare aprendo il mercato cinematografico statunitense ai film cinesi. Sono state richieste politiche favorevoli agli studios di Hollywood che facilitano la distribuzione e la proiezione di film cinesi negli Stati uniti.

E studios di Hollywood con grande partecipazione al mercato del cinema cinese, come Dreamworks, Disney e Warner Bros hanno tutti accettato. Come risultato, i film cinesi sono ora hanno un più alto tasso di penetrazione di altri film stranieri negli Stati uniti, con un rilascio molto più ampio nelle sale americane. Così l’industria cinematografica cinese e Hollywood stanno plausibilmente trovando accordi anche per produrre qualcosa che abbia a che vedere con il «sogno cinese», il nuovo slogan del Pcc».