Nel corso di un viaggio di tre settimane negli Stati Uniti, il trentaduenne principe ereditario saudita Mohammad bin Salman Al Sa’ud ha fatto la sua prima visita a Hollywood, dove è stato accolto in grande stile dal gotha degli Studios.
Il viaggio, mirato a rafforzare e promuovere i legami commerciali fra l’America e l’Arabia Saudita, comprende non a caso svariati appuntamenti hollywoodiani, dato che l’industria dell’entertainment è uno dei settori su cui la petromonarchia intende puntare per diversificare la propria economia – e lo scorso dicembre la rimozione del divieto sui cinema (in vigore da 35 anni) nel Paese del Golfo ha fatto gola a molte catene di cinema statunitensi e europee: il primo multiplex del Paese, anticipa l’«Hollywood Reporter», dovrebbe aprire a Gedda il prossimo ottobre.

A Dubai invece sono già in progetto dei parchi divertimento a tema hollywoodiano – come per esempio Legoland – finanziati anche da Studios come Marvel e Lionsgate.
In occasione della visita dell’erede al trono, anche ministro della difesa e dello sviluppo economico saudita, è in corso un evento di tre giorni al Linwood Dunn Theater di Los Angeles (per iniziativa del King Abdulaziz Center for World Culture) dedicato al cinema saudita ma soprattutto a dei panel incentrati sul futuro dell’industria dell’entertainment nel Paese, dove il cinema deve rinascere da zero dopo anni di interdizione.

Ma l’evento principale, e il più discusso, è la festa privata che Rupert Murdoch ha organizzato per il principe saudita nella sua villa di Bel Air lunedì notte, al quale – secondo l’«Hollywood Reporter» – hanno partecipato anche il CEO della Disney Bob Iger e il presidente della Warner Bros. Kevin Tsujihara.
Anche se è lecito supporre che siano stati i «petromiliardi» sauditi ad attirare i pezzi da novanta di Hollywood all’incontro con bin Salman, non si sa ancora di nessun accordo tra la monarchia e gli Studios. A breve però il Fondo d’investimento pubblico saudita dovrebbe acquistare, per 400 milioni di dollari, il 5 o 10 % della talent agency hollywoodiana WME. E proprio fuori dagli uffici dell’agenzia c’è stata una delle manifestazioni di protesta che – oltre alla compiacenza dell’industria – hanno accolto l’erede al trono a Los Angeles: quella del gruppo pacifista Codepink.

«Mohammed bin Salman impiega un esercito di lobbisti e addetti alle pubbliche relazioni – ha detto la cofondatrice di Codepink Jodie Evans – per spacciarsi come un riformista, quando in realtà è un criminale di guerra e un delinquente assetato di potere il cui ego fa concorrenza a quello di Donald Trump. È assurdo che gli Stati Uniti facciano affari con questo ’principe’ che bombarda lo Yemen senza pietà». La monarchia saudita, continua Evans, «imprigiona e decapita i dissidenti, discrimina la minoranza sciita e obbliga le donne a vivere in un sistema repressivo a guida unicamente maschile. Non è certo un regime che gli Stati Uniti dovrebbero armare e favorire».