Il giorno dopo il terremoto del voto europeo, dopo una lunga attesa, François Hollande ha finalmente reagito. Un breve intervento in tv, ieri alle 8 della sera, per dichiarare che di fronte alla «verità dolorosa» della vittoria dell’«estrema destra» – definizione che sta suscitando polemiche – non si vela gli occhi. Non cambierà politica, ma chiede di aspettare i risultati del suo operato. Ripeterà ai partner che ci vuole più crescita, occupazione, investimenti. Promette il «successo», attraverso un’Europa che tornerà a proteggere. Ammette che l’Europa non ha saputo spiegarsi, che è diventata «illeggibile», ma afferma che è necessaria.

Parole un po’ scontate per un presidente con le spalle al muro, dopo che per la prima volta l’estrema destra è arrivata in testa in un’elezione che ha coinvolto tutto il paese. E la Francia è l’unico, tra i paesi fondatori della comunità europea, dove l’estrema destra anti-europea è arriva al primo posto. Il Fronte nazionale al 25% (e il Ps al governo che non raggiunge nemmeno il 14%) è un avvenimento che lascia il segno, destinato a sconvolgere durevolmente il panorama politico francese. Il Fronte nazionale arriva in testa in 71 dipartimenti (su 101), nell’Aisne (Piccardia) supera il 40%, è al 33,6% nella circoscrizione del Nord-ovest dove Marine Le Pen ha guidato la lista, a Henin-Beaumont, cittadina già conquistata alle municipali di marzo, supera il 50%. Parigi resta un’isola, con il Fn sotto il 10%. Tra i giovani l’estrema destra è il primo partito, al 30% e l’astensione è più forte della media nazionale, che è stata del 56,8%. Il 43% degli operai, il 38% degli impiegati e il 37% dei disoccupati hanno votato Fronte nazionale quando non si sono astenuti, mentre queste categorie che pagano più cara la crisi hanno scelto il Ps rispettivamente solo all’8, al 16 e al 14%. Il Front de gauche resta al palo, con il 6,3%, cioè non riesce a intercettare gli scontenti. Anche i Verdi pagano cara la disillusione europea, dimezzando la rappresentanza, con l’8,9%. Il Nuovo partito anticapitalista) praticamente sparisce. Complessivamente, la sinistra «pesa» meno di un terzo dell’elettorato, un risultato che ipoteca le possibilità di azione del governo. In Francia, ma anche in Europa.

In Francia, l’unico che sembra aver capito l’entità del terremoto è Manuel Valls, che con il volto disfatto ha parlato di «momento grave, molto grave» per la Francia e l’Europa. In Francia, i partiti di governo – il Ps, ma anche, a destra, l’Ump, distanziato dal Fronte nazionale e in preda agli scandali – pagano il susseguirsi per anni di alternanza senza alternativa. Ma ancora ieri molti, nel Ps come nell’Ump, hanno cercato di minimizzare, di relativizzare un voto «europeo» e non interno. Il 21 aprile del 2002, c’erano state le lacrime dei militanti socialisti e di Lionel Jospin, escluso dal ballottaggio della presidenziale da Jean-Marie Le Pen. Domenica sera, Jean-Luc Mélenchon è stato il solo ad aver trattenuto a stento le lacrime: «va Francia, mia bella patria, lavoratori, non lasciate che tutto questo sia fatto in vostro nome», ha detto commosso, parlando di «crisi di civiltà» e di «eruzione vulcanica, che comincia sempre con le piogge acide».

In Europa, la Francia perde oggettivamente terreno. Ieri, Angela Merkel si è detta preoccupata per la «crescita spettacolare e disdicevole» dei populismi e il suo ministro degli esteri, Frank-Walter Steinmeier, ha parlato di un «segnale grave» proveniente dal voto francese. L’asse franco-tedesco, su cui ha ruotato finora l’Europa, si indebolisce.

«La Francia esce profondamente indebolita dal voto – spiega il verde Pascal Durand – Hollande, che già non aveva colto l’opportunità per migliorare le capacità politiche della Ue, sarà ancora in maggiori difficoltà». Nell’europarlamento, i 24 deputati di estrema destra, anche se riusciranno a mettere assieme un gruppo con esponenti di altri 6 paesi, avranno poco influenza, visto che sono lì per distruggere e non per costruire. «È come se una parte della squadra francese stesse negli spogliatoi» riassume l’eurodeputata centrista, Sylvie Goulard. Per la socialista Pervenche Berès, in Francia, dove c’è da sempre «un malessere verso le questioni europee», con il risultato del voto la situazione «si aggrava». Il sentimento di declassamento percepito in Francia, sia a livello individuale (la crisi economica) che nazionale (la perdita di importanza del paese con la mondializzazione) ha spinto una parte consistente dell’elettorato a chiudersi e a ricercare l’illusione della protezione di un’identità passata che teme il confronto con la modernità e con tutto ciò che la rappresenta (dall’economia fino all’immigrazione). Il Fronte nazionale ha proposto una facile alternativa: tra la «nazione», che la Ue rende «obsoleta», e il potere eterodiretto da Bruxelles e dalle élites mondializzate.