François Hollande, che pensa alla candidatura per un altro mandato all’Eliseo alle presidenziali del 23 aprile e 7 maggio 2017, nelle ultime settimane è salito sul carro molto consensuale in Francia dell’intransigenza verso il Ttip. Del resto, anche i suoi potenziali concorrenti di destra – Sarkozy, François Fillon e Bruno Le Maire – si sono dichiarati contro la conclusione del trattato tra Usa e Ue. «A questo stadio – ha dichiarato Hollande – la Francia dice no nella tappa che conosciamo dei negoziati sul commercio internazionale».
Hollande ribadisce che Parigi «non è a favore di un libero scambio senza regole», non «accetteremo mai la messa in causa dei principi essenziali della nostra agricoltura, della nostra cultura».

Il presidente ha citato i punti controversi: «le norme sanitarie, alimentari, sociali, culturali, ambientali» che non dovranno essere riviste al ribasso.

Nell’ultima intervista tv, a metà aprile, Hollande aveva toccato altri aspetti di tensione con gli Usa: «la Francia ha posto le sue condizioni, la Francia ha detto che se non c’è reciprocità, se non c’è trasparenza, se c’è un rischio per gli agricoltori, se non possiamo accedere agli appalti pubblici e, al contrario, gli Usa possono avere accesso a tutto quello che facciamo qui, non l’accetterò». Il sottosegretario al commercio estero, Matthias Fekl, ha affermato che il blocco dei negoziati è «l’opzione più probabile», perché «non ci sarà un accordo senza la Francia e tanto meno contro la Francia». Secondo Fekl, a questo punto del negoziato, il testo è «un cattivo accordo» perché «l’Europa propone molto ma riceve poco».

La Francia alza la voce, come mai aveva fatto finora, anche se Fekl ricorda che dal 2015 aveva sollevato queste perplessità crescenti. Nel 2015 la critica si era concentrata sui tribunali arbitrali, la giustizia privata che avrebbe avuto il potere di giudicare nel caso di conflitti tra stati e imprese.

Nel frattempo, la Ue ha proposto un compromesso, un «sistema di corte degli investimenti», con giudici pubblici, a cui gli Usa non hanno ancora risposto, almeno stando ai documenti resi pubblici da Greenpeace. Le grandi dichiarazioni contro il Ttip sono così diventate una posta nel gioco elettorale francese. Per Hollande, è una strada facile per cercare di parlare all’elettorato di sinistra, che lo ha abbandonato e lo definisce un «traditore» (delle promesse fatte nel 2012). A questo elettorato, propone la difesa delle «norme» europee, sociali e ambientali, che promette di difendere contro la corsa al ribasso degli Usa, indicati come difensori delle multinazionali. Insiste sulla difesa del «principio di precauzione», che potrebbe venire spazzato via dal Ttip (anche se su questo punto, la Commissione, che negozia per i 28, non ha avanzato nessuna proposta concreta).

A un elettorato più vasto, al di là della sinistra, si presenta come il difensore dell’agricoltura francese e della «linea rossa» della salvaguardia della «denominazione di origine» del prodotti, che gli Usa sono accusati di voler spazzare via. Frank Proust, eurodeputato Républicain che fa parte della commissione commercio internazionale a Strasburgo, deride Hollande, che cercherebbe di «mimare» De Gaulle. Con il rischio di «indebolire l’Europa» nel negoziato. Obama, nel recente viaggio in Europa – il penultimo del suo mandato – non è venuto in Francia, ma ha discusso del Ttip direttamente con Angela Merkel in Germania e con David Cameron in Gran Bretagna (mentre il tema non è stato al centro del mini-vertice ad Hannover, dove erano invitati anche Hollande e Renzi). Merkel, malgrado un’opinione pubblica tedesca sempre più ostile, è favorevole al Ttip e preme per concluderne le grandi linee prima della fine della presidenza Obama.

Per i francesi, invece, il Ttip è praticamente «morto». Ma più per ragioni di bassa politica nazionale e a causa di un generale ripiego della società verso una de-mondializzazione, che come effetto di una critica costruttiva, in vista di proposte alternative con la Ue al centro.