Il canone di una cultura si confronta con la vitalità dei suoi classici nel momento stesso in cui li consegna allo spazio di un museo, di una raccolta, di una biblioteca. Tuttavia, anche il citatissimo aforisma di Max Frisch sul valore di Brecht per la cultura del dopoguerra – «ha l’inattualità di un classico» – considerato una sorta di formula liquidatoria per il massimo drammaturgo tedesco del Novecento, nasconde, in realtà, molti più sottintesi di quanto non sembri. Una cultura come quella europea, fortemente orientata – volente o meno – dal pensiero di Nietzsche, sa bene che il valore di un classico sta anche o proprio nella possibilità di tornare inattuale (e perciò anomalo e dirompente) in ogni epoca.

Può quindi accadere tanto al filologo, quanto al puntiglioso editore e commentatore di testi, di produrre effetti sensazionali attraverso la lenta e non appariscente dedizione all’opera di un classico, riportandola alla sua originaria e eversiva inattualità. La storia delle edizioni di Hölderlin sembra fatta apposta per dimostrarlo: fu l’edizione di Norbert Hellingrath a risvegliare l’interesse dei poeti di fine secolo per il più grande dei loro predecessori e a generare, di conseguenza, una tra le più formidabili fioriture della lirica tedesca moderna; furono le traduzioni di Leone Traverso e Giorgio Vigolo a portare vicino alla sensibilità della generazione ermetica la profondità della poesia di Hölderlin; e, in Francia, fu la grande edizione delle liriche di Pierre Jean-Jouve e Pierre Klossowski a dare impulso alla scoperta del poeta svevo in piena età surrealista.

È naturalmente impossibile dire quali effetti avrà la conclusione dell’opera di edizione e traduzione dell’intera poesia, narrativa, saggistica e della produzione epistolare di Hölderlin curata da Luigi Reitani in due volumi, apparsi a quasi vent’anni di distanza l’uno dall’altro nei «Meridiani»: se cioè le arriderà la sorte toccata ai suoi illustri precedenti. Tuttavia, non c’è bisogno di interrogare il futuro per dire che la portata innovativa di questo volume è tale da mutare definitivamente l’immagine di Hölderlin nota al lettore italiano.
Già il Meridiano dedicato alle liriche aveva reso finalmente giustizia alla loro complessità e genialità attraverso una cura della ricostruzione testuale tale da renderla probabilmente la più innovativa e la più attendibile delle edizioni attualmente esistenti al mondo. Con questo secondo volume (Friedrich Hölderlin, Prose, teatro e lettere, pp. 1900, e 80,00), in cui sono contenuti il romanzo Hyperion con tutte le sue redazioni preparatorie e i paralipomeni, la tragedia Empedocle, i saggi e frammenti di poetica e l’intero corpus delle lettere, Reitani offre al lettore una immagine finalmente completa della straordinaria produzione del grande poeta romantico (mancano all’appello soltanto le traduzioni dal greco di Sofocle e Pindaro e quelle dal latino, per una scelta editoriale inevitabile, ma pur sempre dolorosa).

Valore dei dettagli
Le novità non si manifestano tanto sul piano dei testi presentati dal volume: di edizioni di Hyperion e dell’Empedocle, dei saggi e delle lettere, a volte assai ben curate, se ne sono viste anche di recente. Ma il lavoro di Reitani si distingue per la cura ineccepibile dei dettagli (il testo dell’Empedocle, nelle tre stesure superstiti accompagnate dalle note di commento e dagli scenari oltre che dalle riflessioni poetologiche ad esse collegate presenta il testo tedesco a fronte che è una vera e propria edizione critica dell’originale), per l’abbondante iconografia (soprattutto utile laddove serve a ricostruire lo sfondo delle vicende di Hyperion), nonché per il vastissimo commento, certamente il più ampio, dettagliato e utile mai pubblicato fino a oggi. Ogni opera o frammento di opera è analizzato approfonditamente, non ci sono parti del testo abbandonate all’opacità della mera restituzione testuale, e le abbondantissime indicazioni bibliografiche sono il repertorio più aggiornato e preciso oggi reperibile. Una menzione a parte meritano poi le traduzioni, fra le quali vanno segnalate particolarmente quelle dei saggi dello stesso Reitani (che finalmente offrono al lettore italiano testi attendibili e prive degli errori largamente presenti in altre edizioni) e quelle magnifiche delle lettere di Andreina Lavagetto.

Tutto ciò, d’altra parte, pur non essendo poco, non basterebbe a spiegare la grande importanza di questa edizione hölderliniana, il cui merito principale è di riaprire e reimpostare, sulla base di un lavoro filologico assolutamente fuori dal comune, la grande questione relativa al ruolo storico-intellettuale di Hölderlin. Essenziale per la sua interpretazione, questa questione è infatti irrisolvibile senza l’ausilio del lascito filosofico e epistolare del poeta. Da almeno cinquant’anni la ricerca ha largamente abbandonato la pretesa di venire a capo dell’enigma rappresentato dall’autore tedesco solo sulla base dell’analisi delle liriche o del suo romanzo; indispensabile, per definire le grandi questioni che attraversano i versi di Hölderlin, è lo studio, quanto mai complesso, della sua riflessione teorica e poetologica. Il volume curato da Reitani offre, sotto questo aspetto, un’occasione unica e non poche sorprese che definiscono nuovi paradigmi dell’interpretazione. La ricerca ha infatti sottratto da tempo Hölderlin all’aura mitico-profetica che ha segnato la sua immagine, almeno per tutta la prima metà del XX secolo, da Stephan George a Martin Heidegger, e lo ha lentamente restituito alla storia cui appartiene, finendo tuttavia per imbattersi in problemi non meno ardui di quelli in cui andava a impantanarsi chi lo leggeva come il «profeta dell’Essere».

Nessuno dubita più del fatto che Hölderlin occupi una posizione chiave nello sviluppo di quel mezzo secolo capitale della cultura europea che va sotto il nome di «età di Goethe»; ma per una serie di incomprensioni, pregiudizi ed equivoci che hanno lungamente accompagnato la storia della ricerca sulla sua opera, solo da poco si è cominciato a comprendere davvero quale sia la portata delle questioni che pone.

Oltre il pathos metafisico
Certamente Hölderlin è il più acuto e sensibile poeta di una generazione che ha vissuto in modo nuovo e lacerante il sentimento dell’irreversibile separazione del mondo moderno dall’antichità: ha trasformato questo sentimento di separazione in una metafora esistenziale e in una concezione metafisica e ha cercato di risolverla attraverso il suo superamento dialettico, fornendo sollecitazioni per ridefinire il presupposto umanistico della modernità su basi non più storico-imitative, bensì speculative.
Di questa generazione – che ha inizio con l’inquietudine dello Sturm und Drang e il dirompente pensiero di Herder, che si nutre di Kant e alimenta le filosofie di Fichte, di Schelling, di Hegel e, ancora, di Schopenhauer, una generazione pervasa dallo spirito della cultura di Weimar che si esprime nelle poetiche di Goethe, di Schiller e dei romantici – Hölderlin è il diagnostico più sottile, il poeta dotato della sensibilità più moderna, colui che già agli occhi della cultura di fine secolo aveva anticipato, nella propria lirica, i grandi motivi della decadenza. E lo ha fatto prestando alla sua epoca la profondità di una visione tragica di sé che essa non avrebbe altrimenti conquistato.
Tuttavia, questa visione, certamente carica di un pathos metafisico idealmente rappresentato negli studi heideggeriani su Hölderlin, è stata a lungo oggetto di interpretazioni fondate su geniali intuizioni e letture iperraffinate cui solo la filologia ha dato consistenza solida, non di rado correggendo radicalmente alcune ipotesi non meno suggestive di quanto fossero erronee. Questo processo di consolidamento filologico dell’immagine storica di Hölderlin (che, fra l’altro, prende la sua forma più eclatante nel moltiplicarsi di edizioni critiche integrali e parziali) è tutt’ora largamente incompiuto e ad esso fanno da commentario perpetuo interpretazioni critiche e filosofiche sempre più rigorose e approfondite di cui il volume di Reitani offre un panorama del tutto completo.

In questo scenario, piccole o piccolissime variazioni di lettura dei difficilissimi manoscritti hölderliniani, questioni apparentemente secondarie come lo spostamento di pochi mesi di una datazione, l’accoglienza o il rifiuto di lezioni più o meno difficili hanno enormi conseguenze sulla comprensione dei testi e del loro significato: in un ambito culturale in vorticosa evoluzione come quello classico-romantico e idealista, le più piccole sfumature implicano grandi differenze.

Un decisivo spostamento di data

È del tutto impossibile dare un’idea della quantità di rettifiche e di vere e proprie novità che il commento di Reitani porta alla luce: ognuna meriterebbe una ponderata considerazione critica e certamente troverà presto o tardi i suoi esegeti. Ma un esempio può bastare.
Si sa che il contributo di Hölderlin alla prima fase di sviluppo dell’idealismo tedesco è stato profondo e probabilmente, almeno per alcuni aspetti, decisivo. Altrettanto bene si sa che il primo testo in cui la portata di questo contributo emerge è un abbozzo di riflessione intitolato, convenzionalmente, Giudizio e Essere, contenuto sul risguardo di un volume non ancora definitivamente identificato e datato da Dieter Henrich, nella sua monumentale monografia sul testo, all’aprile del 1795.

In poche, informatissime pagine di commento, Reitani sposta invece in modo convincente la datazione al dicembre 1795 o ai primi mesi del 1796 con la conseguenza di cambiare completamente, rispetto a quel che se ne sapeva fin’ora, il quadro del dibattito filosofico in cui quella riflessione cade. L’esempio vale a chiarire che questo Meridiano non rappresenta soltanto la miglior fonte esistente in Italia per accostarsi, dopo la lirica, a tutto il resto della produzione di Hölderlin: è anche uno strumento di studio e di approfondimento unico per la completezza e la qualità degli apparati che mette a disposizione, e un modello di acribia e profondità filologica più che degno dei suoi omologhi tedeschi, destinato a cambiare significativamente la ricezione di Hölderlin, non solo in Italia.