Non c’è bisogno di sfogliare cataloghi, inseguire mostre, anelare eventi. Basta scendere in strada, perché c’è senz’altro un Banksy che cresce, opera e semina pensiero critico sui muri di casa vostra. Uno di questi si firma Hogre, ha ventotto anni e recentemente ha partecipato al Crack festival del centro sociale romano Forte Prenestino col suo libro «Subvertising, piracy of outdoor advertising».

L’altro giorno Hogre ha avuto l’onore di una sorta di consacrazione artistica: è stato fermato e denunciato a Roma. Capo d’imputazione d’altri tempi: «Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio».

LA STORIA di questo designer, e il fatto che sia stato braccato per giorni e finito al centro di un’indagine di polizia, è rivelatrice di molte cose. Hogre lavora nella street art, disegna stencil, murales e manifesti muovendosi dentro una corrente artistica che sempre più spesso viene presa a pretesto per la valorizzazione immobiliare dei quartieri metropolitani. Dunque, lo scorso primo luglio ha scelto di rompere i confini e se n’è andato in giro per Roma. Non ha accettato di stare nei limiti preconfezionati, ha oltrepassato parecchie zone rosse affiggendo alcuni del suoi lavori. Ecco allora che alle fermate dell’autobus è comparsa una locandina con bambola gonfiabile che indossa la lingerie «Fintissimi», con détournement situazionista di un noto marchio della moda mutandara.

QUELLA CHE L’AUTORE chiama «arte sotto vetro», si diffonde nei circuiti underground sotto il nome di «brandalism», cioè di vandalizzazione dei brand. In rete si trovano efficaci manuali d’istruzione per occupare gli spazi delle bacheche ufficiali e assestare i propri colpi nei luoghi insospettabili, di solito occupati da inserzionisti a pagamento. «All’estetica kitsch tipica delle pubblicità critico l’utilizzo massiccio di immagini sessiste, ipersessualizzate, verticalizzanti e dunque patriarcali », dice Hogre al manifesto. Lo stesso vale per i codici religiosi, messi da Hogre in ballo col poster intitolato «Immaculata conceptio in vitro».

«È LA PRIMA VOLTA che il contenuto di un immagine da me disegnata viene portato a giudizio – racconta – Ho deliberatamente toccato tematiche sulle quali l’Italia è particolarmente sensibile per andare contro l’influenza sia materiale che ideologica del vaticano. ‘Ecce Homo Erectus’ è un disegno di critica al patriarcato, nel senso antropologico e filosofico del termine». Ma davvero si aspettava di essere raggiunto da una denuncia? «La mia grafica può piacere o non piacere – risponde Hogre – ma siamo nell’ambito relativo del giudizio estetico. Altra cosa è condannarla perché ritenuta illegale nei suoi contenuti! La libertà d’espressione o è totale o non è libertà. Non può esserci una ‘libertà d’espressione parzialmente scremata’».

«RUBIAMO QUESTO SPAZIO (al capitalismo) e ve lo restituiamo gratis, per la comunicazione di future possibili», si legge ad esempio nel manifesto d’intenti del sito Brandalism.Ch. L’azione di Hogre tuttavia non è passata inosservata, perché ci sono argomenti che non si possono agitare e corde che non si possono muovere. Accade ad esempio per i contenuti commerciali. Le sue opere si rifanno alla pratica del subvertising, usano i linguaggi della pubblicità per sovvertirne il segno. «Brandalism invece è il nome di un collettivo inglese – aggiunge l’artista – Grazie al loro assiduo lavoro il comune di Bristol sta discutendo la possibilità di abolire le pubblicità negli spazi pubblici».

PERSEGUENDO l’abitazione romana di quella che definiscono con involontaria comicità come «persona nota negli ambienti internazionali della street art»» gli agenti della Digos di Roma fanno sapere di aver «trovato, e sequestrato, un poster e vario materiale cartaceo». La cosa curiosa è che questa complessa azione investigativa serve a colpire opere d’arte che erano state rivendicate online dall’autore dalla sua pagina Facebook. Solo che per scoprire chi si nascondesse dietro questo pseudonimo c’è voluta un’indagine fatta di interrogatori a webmaster, pedinamenti a fidanzate, appostamenti presso internet point. Uno schieramento di forze davvero degno di altri crimini. Per capire lo scalpore creato dall’indecoroso Hogre, bisogna notare come i muri delle periferie si colorino.

PER ALCUNI QUEI DISEGNI sono il tratto che conduce dal «popolare» al «caratteristico». Questa riduzione di senso parte da una rimozione fondamentale: tutto viene dalla strada e dall’esigenza di riappropriarsi dello spazio pubblico. Chi vorrebbe utilizzare l’arte di strada come pure abbellimento, e persino come viatico alla speculazione edilizia, non contempla che un’opera d’arte veicoli contenuti e trasmetta un messaggio. «La street art è sempre stata dentro al sistema, basti pensare a Basquiat e al suo passaggio dai graffiti alle gallerie d’arte – dice Hogre – Non ci vedo niente di male in questo, le sue collaborazioni con Andy Warhol sono anzi un picco altissimo dell’arte figurativa». E allora?

«TROVO DAVVERO spiacevole che la street art venga strumentalizzata dal potere – esclama – Ci sono casi eclatanti come il famoso manifesto che fece vincere le elezioni a Obama disegnato da Shepard Fairey. E ci sono gli interventi fatti da due impiastra-muri dentro al tunnel del Tav in Val di Susa. E poi si verificano casi meno espliciti, conseguenze dei tanti muri legali organizzati dagli accordi tra comuni e gallerie, che facilitano la gentrificazione di interi quartieri. Come nel quartiere romano del Pigneto, dove le immagini con il volto di Pasolini si moltiplicano sui muri in nome della riqualificazione».

È interessante capire come vengano scelti gli obiettivi da colpire: «Sono un designer, autodidatta nel disegno, con una grande passione per l’arte figurativa in particolare per l’arte classica rinascimentale, e per i maestri della grafica polacca come Mieczyslaw Wasilewski, Waldemer Swiertzy, Andrzej Pagowski – riflette Hogre – Ma essendo anche appassionato di semiotica preferisco il figurativo all’astratto, cerco di esprimere al meglio il mio punto di vista. C’è in questo mio lavoro un intento autoconoscitivo oltre che comunicativo. Il mio obiettivo, da questo punto di vista, è la mia liberazione».