Stop The Pounding Heart è la terza parte di una trilogia texana a cui ho iniziato a lavorare nel 2011. Il primo, The Passage, è un «road movie», un viaggio nel Texas percorso attraverso gli occhi di una donna malata terminale. Il secondo, Low Tide, è la storia di un ragazzo emarginato e del mondo che ha inventato per sopravvivere. Questo film, in un certo senso, costituisce anche il racconto intimo di una solitudine, anche se gli stessi temi attraversano tutti i film della trilogia. Stop the Pounding Heart, che è appunto l’ultimo, si concentra invece su Sara, una giovanissima contadina cresciuta in una famiglia di cristiani fondamentalisti, che comincia ad avere dei dubbi sul suo destino quando incontra Colby, un ragazzo che monta i tori. Tra Sara e Colby nasce un’attrazione adolescenziale, forse nutrita anche dalla distanza tra le loro realtà. Per Sara, Colby diviene uno specchio, rappresenta l’opportunità di riflettere sul suo percorso e sulle sue scelte, le fa sorgere dentro delle domande su tutto ciò -che considera sacro. Tra i due ragazzi vedo anche un parallelo metaforico: Sara combatte per continuare diritta sul cammino di Dio, Colby per mantenersi diritto sulla schiena del toro.

Considero Stop the Pounding Heart la mia riflessione più compiuta su quelle che sono oggi le radici contadine in America. Durante i 54 giorni di riprese mi sono immerso in una realtà sociale che avevo osservato per più di quattro anni, ma mai così da vicino. Siamo in quella che viene definita «l’America religiosa».

Tim e Leeanne Carlson, i capofamiglia della comunità che è al centro del film, hanno deciso di educare i loro figli seguendo i principi più rigidi della Bibbia. Una tale devozione (che possiamo anche chiamare fanatismo) è stata spesso bollata come arcaica o anacronistica. Io sono invece convinto che questa devozione fuori misura a Dio, e il ritorno alle interpretazioni più strette dell’idelogia religiosa, siano endemiche nell’America contemporanea, perché comunità insulari, come quella che si vede nel film, esprimono la necessità di ancorarsi ai valori della tradizione in modo da opporsi al rischio che la loro identità si dissolva. Il film tocca molte altre problematiche, tra le quali la controversa cultura delle armi, il cui fondamento risale alle origini stesse della nazione (oggi i sostenitori delle armi dimenticano però che persino i coloni del 19esimo secolo tenevano un registro dei proprietari di armi e fucili). O il ruolo delle donne nella famiglia e nella società. Sono argomenti complessi, e con questo film ho scelto di raccontare realtà che sono aperte all’interpretazione, piuttosto che mettere in primo piano la mia ideologia personale. Anche perché, sono convinto che i soggetti dei miei film abbiano molte più cose da dire di quante ne ho io (nel bene e nel male …).

In tutti e tre i film mostro la vita reale, delle persone nel loro ambiente, quindi non ci sono attori, almeno in senso tradizionale. Al tempo stesso, sviluppo un linea narrativa che è mia, quindi possiamo dire che la mano del regista è presente. Ho avuto una relazione molto profonda e intima con queste comunità, per la quale c’è stato bisogno di una grande fiducia reciproca. Hanno scelto di aprirsi, di mostrarmi la loro vita, e di permettere che ne facessi un ritratto pubblico. Oltre al rapporto personale, che è stato coltivato nel tempo, credo anche che il mio modo di girare contribuisca a mettere la gente a proprio agio davanti alla macchina da presa. Siamo in cinque sul set, non uso luci artificiali, e ogni ripresa è unica. Si può dire che questo film segue la tradizione di Rossellini e di Bresson, che una volta ha detto che più del realismo erano interessato alla verità. È un’affermazione che mi è rimasta dentro.

Ho girato in Texas perché lo considero un luogo speciale, dotato di un’identità fortissima. Le persone sono fiere della propria indipendenza, e molto orgogliose, e la cultura e le tradizioni del sud sono profondamente radicate. Da osservatore straniero sono attirato da questa cultura così distintiva, fatta di pistole, cowboys, e innumerevoli comunità spirituali. Anche se il Texas è uno stato vasto, dotate di importanti aree metropolitane, il suo nucleo è fatto di una miriade di piccole città, forse irrilevanti dal punto di vista toponomastico ma molto ricche antropologicamente parlando. Ne ho visitate parecchie nei mie viaggi. E, improvvisamente, queste cittadine che costeggiano le principali autostrade, per me sono diventate l’America. Un luogo intimo, speciale, pieno di tradizioni e di caratteristiche peculiari che non avevo mai colto nel quadro generale che avevo di questo paese.