Cosa sa il cinema che noi non sappiamo? Più di 1000 film vengono prodotti in Germania tra il 1933 e il 1945, tra un’aperta e mirata propaganda e un innocuo intrattenimento. Il regista e critico cinematografico Rüdiger Suchsland, già noto per il documentario “Da Caligari a Hitler” (2014), torna sulle orme di un object trouvé che racconti ancora il film come uno strumento culturale, questa volta dentro quella che voleva essere una grande fabbrica del sogno. Questi film di un’epoca buia rivelano miti e aperte bugie e nascondono delle verità nel mostrare storie di fanatici, arrivisti, conformisti, opportunisti, ribelli, vittime e colpevoli. Tecnicamente perfetti, suscitavano forti sentimenti, incredibili emozioni, senso di rifugio; un cinema per certo prefabbricato e manipolativo, ma è forse questa la chiave per spiegare la potenza del cinema nazionalsocialista. “Hitlers Hollywood” è un viaggio lungo le produzioni della UFA (Universum Film AG) e di uno star system che puntava a bandire ogni senso di inferiorità anche senza la Dietrich o Greta Garbo: Zarah Leander, Hans Albers, Heinz Rühmann, Ilse Werner, Marianne Hoppe. Uomini e donne che creano la consistenza dell’illusione, ciò che muove le masse, ciò che non ha bisogno di fatti concreti. “La prigioniera del destino” (1944), di Veit Harlan, stesso autore di “Süss l’ebreo”, è il culmine febbrile del cinema nazista: il culto erotico della morte, l’eccitazione malata di un carnevale luciferino e una iperrealistica Kristina Söderbaum; un film che tra le righe pone una inconsapevole pietra tombale sull’epica nazista attraverso i sui stessi codici. Suchsland non voleva un film pedagogico, nonostante la sua accurata documentazione e il piglio da critico a tratti ci si avvicinino, ma uno sguardo consapevole e indipendente che scruti l’ambivalenza del suo oggetto di studio. Molti dei film nazisti sono lupi mascherati da pecore: sotto l’intrattenimento apolitico, le piroette e i lustrini, si nasconde la violenza e la disumanità e viceversa, sotto la chiara manipolazione e demagogia, vive la nostalgia, il rimpianto, il sogno disatteso. Per mostrare tutto questo, il regista non solo raccoglie come un certosino stralci di film, ma inserisce nel suo discorso anche riprese amatoriali, foto di divi con o senza Goebbels, estratti di cinegiornali. Oltre il già citato Veit Harlan, Suchsland passa in rassegna film come il celebre “Il trionfo della volontà” (1935) di Leni Riefensthal, il fantasy di “Münchhausen” (1943) di Josef von Báky, le commedie “Kapriolen” (1937) di Gustaf Gründgens e “A suon di musica” (1942) di Helmut Käutner, per provare ad andare al di là del bene e del male del cinema tedesco dell’epoca.
@NatashaCeci