Hitler e Goering erano amici stretti, nella politica e nella vita. Condividevano una visione politica e quello stesso sogno di una grande Germania, «epurata» di tutti gli elementi contaminanti che non entravano nel loro progetto. A un certo punto però divennero rivali: fu quando cominciarono a contendersi i bottini artistici, quando le meraviglie prodotte dai migliori talenti d’Europa presero a passare per le loro mani e per quelle di intermediari – galleristi, artisti, storici dell’arte – senza scrupoli. Pronti a fare razzie nei musei delle città che via via occupavano, o in casa d’altri, turlupinando i legittimi proprietari di quei beni (spesso ebrei) o deportandoli per poi depredare meglio le loro residenze, come avvenne nel caso dei coniugi Gutman, spediti in campo di concentramento.

A Jacques Goudstikker, invece, che aveva una collezione di fiamminghi e barocco italiano nelle sale del suo castello Nyenrode, furono confiscate 1240 opere: 50 per essere donate a Hitler, altre disperse in varie vendite all’asta per «fare cassa», altre ancora «nazionalizzate». I suoi eredi – come quelli del raffinatissimo gallerista parigino Paul Rosenberg, la cui Femme assise di Matisse è riapparsa nel ritrovamento eccezionale in casa Gurlitt di 1500 opere credute perdute nel bombardamento di Dresda – sono oggi tra i protagonisti di battaglie legali che infrangono il tabù della cosidetta «restituzione», pratica che spoglierebbe i maggiori musei del mondo dei loro tesori.

Sono questi solo alcuni dei casi che vengono ricordati nel documentario Hitler vs Picasso, nelle sale italiane oggi e domani. Regia di Claudio Poli su soggetto di Didi Gnocchi, con la partecipazione straordinaria di Toni Servillo e la colonna sonora originale di Remo Anzovino (per la 3D Produzioni e Nexo Digital con Sky Arte HD), il film affronta l’ossessione compulsiva del nazismo per l’arte sia quando era «degenerata», una minaccia per i valori del Reich (quelle pitture e sculture da mostrare al pubblico ludibrio, circa 650, contarono su due milioni i visitatori), sia quando classica e orgogliosamente «germanica», come testimoniarono le due esposizioni parallele e antitetiche del 1937. Con qualche paradosso: l’espressionista Nolde, antisemita e iscritto al partito, finì tra i «degenerati» nonostante figurasse nei salotti buoni e fosse amato da Goering, mentre lo scultore Belling appariva in entrambe le sedi – paladino ariano oppure diavolo.

Ma il vero racconto sotteso a quell’olocausto culturale narrato nel documentario riguarda il destino dei mediatori compiacenti del nazismo: la maggior parte di loro riprese a fare il proprio mestiere, a guerra finita. Senza disturbo.