Il libro Hipster. Subcultura della crisi di Lorenzo Caglioni (Novalogos, pp. 306, euro 20) ha di primo acchito già nel titolo la sua plausibile ragione d’essere letto, poiché degli Hipster si conosce, solo in parte, l’estetica e non l’ethos, ancora meno l’origine, le pratiche sociali e lo stile di vita messi a punto.

RESTANDO nell’alveo dell’espressività, Caglioni attento a studiare «da dentro» la cultura hipster chiarisce come la comunicazione simbolica, sottesa a un taglio di capelli o della barba, tratteggi un senso di coralità e porti con sé una funzione connettiva tra differenti similarità. Infatti nel libro si precisa l’esistenza di più costruzioni della realtà all’interno della stessa cultura, elemento tipico della contemporanea cesura identitaria, che con le sue tante versioni sullo stesso tema apre a un ventaglio di interpretazioni.

L’ETNOGRAFIA proposta muove tra la Milano e la Londra attuali, metropoli che nella modernità hanno visto avvicendarsi subculture di ogni genere, sorte tra il centro delle attività di consumo (Italia) e la periferia culla degli operai (Inghilterra). Ed è attraverso questi luoghi che Caglioni ci guida, mostrandoci una comunità deterritorializzata – non potrebbe essere altrimenti in questa fase -, con i suoi valori e interessi, tra auto-immagine e altrui opinioni.

LA RICHIESTA di alterità che si fa strada tra i giovani hipster nasce da una tensione e si esalta in modelli «aspirazionali», in una società che standardizza le nostre vite e consente ad un corpo sociale di riconoscersi in scelte etiche piuttosto che in beni di consumo elitari. Gli hipster, anche e solo irriflessivamente, illustrano le strategie del neoliberismo il quale, pena l’estinzione, consente alle soggettività di esprimersi in modi radicali o soft, di politicizzare le questioni di interesse pubblico e sfogare sentimenti di disappunto purché si conservi lo status-quo.

L’ETHOS HIPSTER è l’affermazione di un’autenticità che incrocia la critica al consumismo, in favore di un’economia circolare. L’imperativo del riuso è la proposta di «fuga» dal capitalismo occidentale, la risposta puntiforme ad una crisi economico-finanziaria che da più di un decennio condiziona il corso degli eventi. Il legame con la rivalutazione delle aree dismesse è un appunto alla tecnicizzazione degli spazi. Questo frazionamento dei luoghi impedisce, infatti, lo sviluppo di forme di relazione inter-personali cui si sostanzia il vivere collaborativo e condiviso.

AGENDO in un sistema sociale che dà ampie possibilità di realtà pratica, l’hipster è uno sbocco istituzionalizzato di una certa accumulazione energetica che preserva la società da un urto più violento, in nome di princìpi che sacralizzano tutto ciò che ha a che vedere con il costume e l’essere «hip» (cool), ma non solo. La responsabilità, il buon senso e la consapevolezza degli strati più profondi di questa subcultura, vanno oltre le contraddizioni tra mainstream e «anti», nella volontà di ingenerare un cambiamento.