Quella dell’ultimo super martedì è stata alla fine la cronaca di una nomination annunciata – non solo per l’annuncio anzitempo della stampa sulla vittoria di Hillary Clinton. La consacrazione di una donna, la prima, come candidata presidenziale di uno dei principali partiti americani, è stata sancita senza equivoco dalle urne – la convincente vittoria in California è stata il punto esclamativo di una campagna che ha portato l’ex first lady nella storia.

Hillary Clinton si è aggiudicata quattro dei sei stati in palio: South Dakota, New Mexico, New Jersey e California. Sanders è prevalso solo in North Dakota (pur col risultato decisivo di 65%-25%) e in Montana dove i due candidati erano separati da una manciata di voti.

Nel quartier generale di Brooklyn davanti ad una folla in visibilio ha fatto il discorso che aspettava di pronunciare da otto anni, da quando vide sfumare una presidenza che credeva già tenere in pugno da un giovane e carismatico senatore di Chicago. «Abbiamo raggiunto una pietra miliare», ha detto l’ex first lady ai sostenitori giubilanti. «Per la prima volta la candidata del Partito democratico sarà una donna!».

Mentre i voti venivano ancora contati negli stati dell’ovest, Hillary ha elogiato Bernie Sanders per «gli anni di carriera al servizio di cause progressiste e la straordinaria campagna che ha mobilitato milioni di giovani. Il senatore, la sua campagna e il dibattito che hanno stimolato hanno giovato immensamente al partito democratico».

La “chiusura in bellezza” che avrebbe permesso a Sanders di rimettere in discussione i superdelegati di Hillary non si è materializzata. Le vittorie schiaccianti messe a segno in California e New Jersey per quasi due terzi dei voti sono invece state un punto esclamativo convincente alla campagna dell candidata che nel discorso ha concentrato la potenza di fuoco sul prossimo avversario, Donald Trump.

«Trump non è idoneo per temperamento a fare il presidente», ha affermato. «Non vuole solo costruire un muro sul confine del Messico ma barriere fra ogni Americano». Citando gli attacchi contro minoranze etniche e donne, Clinton ha proseguito: «Quando dice di rifare grande l’America, Trump intende riportarla indietro ad un epoca in cui le opportuntà erano riservate a pochi privilegiati».

Sulla carta Hillary ha un vantaggio su Trump le cui esternazioni xenofobe e populiste servono ad offuscare vulnerabilità sedimentate in decenni di carriera e scandali politici di Hillary e Bill Clinton. Ma rimane da verificare se riuscirà a riunificare un partito profondamente diviso dalle primarie e riassemblare la coalizione vincente costruita da Obama. Molto dipenderà da una riappacificazione con Bernie Sanders che tenterà di facilitare lo stesso presidente Obama che la settimana prossima a questo scopo avrà un incontro con Sanders a Washington.

Nell’ultimo discorso della notte Sanders si è rivolto a migliaia di sostenitori che lo hanno accolto con un boato. Ringraziandoli Bernie ha lasciato intendere che pur mentre la campagna volge ad un inevitabile conclusione la partita politica è ben aperta. «Le vere riforme partono sempre dal basso», ha reiterato il senatore socialista che nelle primarie del 2016 ha raccolto il 46% dei voti accolto da cori di sì se puede. «Stasera sono pieno di ottimismo per il futuro del nostro paese quando vedo così tanti giovani che capiscono che la nostra visione di giustizia sociale, economica, razziale e ambientale rappresenta il futuro d’America».