Janet Yellen, presidente della Federal Reserve, ha annunciato che resterá al proprio posto e non si dimetterá, continuando sulla linea tenuta in questi anni, con un mandato che scade a Gennaio 2018. Nel discorso di ieri davanti al Congresso, la presidente ha respinto le accuse di Donald Trump di essere stata troppo politicizzata nella campagna elettorale e, oltre ad annunciare l’intenzione di non presentare dimissioni anticipate nonostante il cambio di partito alla Casa Bianca, ha difeso la legge Dodd-Frank, ovvero la riforma della finanza varata dal presidente uscente Barack Obama dopo la crisi economica del 2008 e che Trump ha annunciato di voler rivedere. 

hellen

 

 

«Questa riforma- ha detto Yellen – ha molti aspetti positivi e non sarebbe opportuno portare indietro le lancette della regolamentazione finanziari». Così Yellen si pone in diretto scontro con quello che sará il futuro ministro delle finanze Usa, quasi sicuramente un uomo di Goldman Sachs, con buona pace delle promesse elettorali di Trump di liberare la nazione da chi aveva messo in ginocchio la classe media.

«Sebbene una crescita superiore ai trend della forza lavoro e dell’occupazione non può continuare a tempo indefinito ha continuato Yellen – c’è comunque margine per ulteriori miglioramenti del mercato del lavoro» riferendosi ai salari degli americani.

Nessuna delle sue dichiarazioni può arrivare come rassicurante all’amministrazione Trump, il quale è stato punto sul vivo quando Yellen ha dichiarato che «dopo l’elezione c’è un alto grado di incertezza», secondo quanto riporta il Wall Street Journal, la Federal Reserve ha bisogno di «maggiore chiarezza sulle politiche del nuovo presidente prima di valutarne gli effetti».

Poche ore dopo, invece, è arrivato l’annuncio delle dimissioni del generale in congedo e direttore dell’intelligence Usa, James Clapper, annunciate in coincidenza con la fine del mandato di Obama. La figura del ‘Director of National Intelligence’ era stata creata da George W. Bush e risponde direttamente al presidente.

A Washington, intanto, dal palco allestito per il gala della Children’s Defense Fund, si è tenuto il primo, vero discorso di Hillary Clinton dopo la sconfitta elettorale, nonostante gli oltre due milioni di «voti popolari» in più del neoletto Trump. «Venire qui stasera non è stata la cosa più facile per me – ha esordito Clinton che è apparsa tesa e provata- ci sono stati momenti in cui ho voluto solo rannicchiarmi con un buon libro o i nostri cani e non uscire più di casa».

Nel suo discorso non ha parlato direttamente di Trump, ma ha ricordato l’incontro avvenuto in Nevada con una ragazzina ispanica che era scoppiata a piangere nel timore che i genitori vengano espulsi dal Paese. «Nessun bambino dovrebbe vivere con una paura come questa – ha detto Hillary – o dovrebbe avere paura di andare a scuola perché è ispanico, afroamericano, musulmano o ha una disabilità». E ha anche invitato a non essere delusi dall’America che si è scoperta in queste urne. «Le divisioni tracciate da queste elezioni – ha detto – sono profonde, ma credetemi quando vi dico che l’America, i nostri figli, meritano la vostra energia, la vostra ambizione il vostro talento. Credete nel nostro Paese, combattete per i nostri valori e non mollate mai. La nostra campagna non è stata per una persona e per una elezione: è stata per il Paese che amiamo e per costruire un’America che abbia speranza, sia inclusiva e con un grande coraggio».

Poco prima aveva parlato anche Bernie Sanders, dal suo canale YouTube. Il tono del senatore del Vermont è stato lungi dall’essere depresso e con una posizione che si sta facendo largo nella sinistra antagonista americana: che le sole manifestazioni non bastano a rovesciare un sistema che va cambiato dall’interno a colpi di leggi.

Sanders ha ripetuto l’invito i suoi sostenitori a fare politica attiva e ad occupare il partito democratico, dandosi delle scadenze che cominciano giá nel 2017 con le elezioni locali. Posizione questa sostenuta anche da Occupy Wall Street, sempre in sintonia con Sanders e che si dice ora pronta ad una fase di lotta interna all’estabilishement democratico.