Messi non ha dovuto fare El Diego. O quantomeno provarci. La sua Argentina supera il Belgio e va in semifinale ventiquattro anni dopo l’ultima volta (a Italia ’90) con la forza dei suoi vari campioni e di qualche comprimario di lusso. Angel Di Maria – finché è in campo, poi fuori per infortunio – finalmente Gonzalo Higuain con il gol partita (1-0), poi Mascherano, Garay.
Certo, poi c’è la «Pulce», che trasforma in oro tutte le palle che tocca, ispirato dagli dei del pallone, ma che fa in tempo a sbagliare un gol in contropiede a pochi istanti dal termine, ipnotizzato da Thibout Courtois – per la settima volta di fila, considerando le sfide tra il suo Barcellona e l’Atletico del portiere belga -, lasciando gli argentini in bilico sino al termine. Attorno a Messi, una squadra compatta, che non prende gol, dai ritmi lenti, che sale di giri quando il 10 del Barcellona accende il motore.Nonostante la marcatura a tutto campo riservatagli dai belgi.

L’Albiceleste torna tra le prime quattro del mondo. Forse perderà Di Maria per il resto del torneo ma con il Brasile senza Neymar diventa la favorita principale per alzare la Coppa. Per i puristi del calcio, resta in soffitta la Vhs emotiva di Diego Armando Maradona (30 anni alla «prima» al San Paolo di Napoli) che 28 anni fa, ai Mondiali messicani, batteva praticamente da solo i belgi. Due a zero, doppietta del Diez, due sonetti su un campo di calcio. Il secondo, partendo dalla trequarti superando in velocità ogni avversario, rete simile a quella storica che aveva rifilato qualche giorno prima agli inglesi, ancora furiosi per la «mano de Dios».

E Maradona c’era in tribuna anche ieri. C’era nel coro anti Brasile dei tifosi argentini allo stadio Garricha di Brasilia, trend topic in Rete negli ultimi giorni. Tema: Brasile battuto a Italia ’90 con rete di Claudio Caniggia, Messi che riporterà la Coppa in patria e ultima strofa: «Maradona es mejor que Pelè», cantata anche da Leo Messi e compagni negli spogliatoi.

Con gli argentini avanti, finisce quindi la favola del Belgio, la sorpresa annunciata del torneo, assieme alla Colombia eliminata dal Brasile. Un Belgio diverso da quello che provava quasi 30 anni fa a distanziare El Pibe dalla storia. Allora in campo c’erano campioni come Enzo Scifo – un cameo all’Inter – il portiere Preud’Homme, uno dei più forti nel suo ruolo. Con un Paese diviso tra fiamminghi e valloni, due lingue e vari spifferi d’indipendenza. La squadra portata ai Mondiali dal ct Wilmots è invece il simbolo della multietnicità. Con calciatori figli di immigrati come Kompany (padre di origini congolesi, come Lukaku), dalla Martinica (Witsel), Mali (Dembelè), Marocco (Chadli, Fellahini).
Una squadra giovane, cool, multietnica, tosta. Con disciplina e il valore del collettivo. Un successo partito da lontano, dai settori giovanili, dall’Under 21 di Johan Walem, vecchia conoscenza del calcio italiano (Parma, Torino), fino all’Under 17. Tredici anni fa Jan Peeters, presidente dell’Union Royale Belge des Sociétés de Football Association decideva di allestire un’accademia calcistica in ogni provincia del paese; ora, grazie alle otto scuole create (cinque nelle Fiandre, tre in Vallonia) ecco il salto di qualità. Con ragazzi che crescono prima come persone che come giocatori, alla disciplina, al rispetto delle regole, prima gli studi, poi il calcio con un occhio al codice etico, inflessibile: fuori chi sbaglia.

E niente primedonne anche in prima squadra, nonostante per Eden Hazard il Paris Saint Germain abbia offerto 75 milioni di euro al Chelsea e per il portiere Courtois Josè Mourinho stia per dare il benservito a Peter Cech in maglia blues. Una fotografia romantica di un Paese in cui ultime elezioni hanno accentuato le contrapposizione tra le due anime – in quella fiamminga hanno trionfato gli indipendentisti, in quella francofona, i socialisti – e portato alle dimissioni del primo ministro Elio Di Rupo. Contro Messi, l’uomo in missione per eguagliare El Diez, non è bastato.