Sempre più interessante è la situazione in Giappone per quel che riguarda l’offerta streaming, la battaglia vera e propria è iniziata circa un anno fa quando dopo Hulu, già presente nell’arcipelago da un paio di anni, sbarcavano nell’arco di pochi mesi prima Amazon Video e poi Netflix. Come conseguenza di questa «calata» en masse si sono mosse anche le compagnie giapponesi che hanno formato una o più piattaforme dove mettere in mostra la loro offerta.

In questo spostamento «di paradigma» che sta portando i progetti più interessanti e innovativi in rete, la differenza la fanno i contenuti originali, le serie televisive, programmi o film prodotti in esclusiva per una singola piattaforma streaming.
Il primo prodotto uscito da Netflix Japan è la serie televisiva «Hibana», un unicum anche per il colosso Americano perchè la serie, cominciata i primi di gugno, è disponibile in centonovanta paesi e sottotitolata in diciannove lingue, godrà quindi un’esposizione internazionale che forse mai una serie giapponese aveva mai avuto. Ma l’importanza che potenzialmente questo telefilm potrebbe avere per il mondo televisivo giapponese va al di là dell’impatto che avrà negli altri paesi.

Il telefilm infatti è tratto da uno dei libri che recentemente hanno avuto maggior successo nell’arcipelago, scritto dal comico Naoki Matayoshi: «Hibana», che ha finito per vincere lo scorso anno uno dei riconoscimenti più prestigiosi, il Premio Akutagawa. Le vicende raccontate nei dieci episodi della serie si svolgono nel mondo del manzai, uno stile di commedia che di solito vede impegnati due comici su un palco e che molto risalto trova anche nel piccolo schermo giapponese, e segue il rapporto conflittuale, complicato ma anche ricco di momenti leggeri e divertenti tra i due protagonisti.

Il motivo per cui Hibana potrebbe, almeno così molti si augurano nel settore, cambiare il modo di fare e soprattutto produrre televisione e cinema è che gli standard produttivi di questa serie si distaccano nettamente da quelli che di solito sono alla base dei telefilm (e troppo spesso film) per il piccolo schermo giapponese. Attualmente infatti la maggior parte dei lavori per la televisione è «ostaggio» delle talent agency, veri e propri gruppi di potere mediatico che piazzano i loro protetti, di solito non-attori e cantanti vari, in film e serie TV abbassando così i valori produttivi dei prodotti, cioè semplificandoli. In questo modo stanno portando il livello della TV, e purtroppo anche quello dei lungometraggi per il grande schermo, sempre più in basso. La speranza è quindi che con i nuovi sistemi distributivi delle piattaforme streaming, dove le aspettative degli spettatori sono di solito più alte, si possa innescare un circolo virtuoso aureo che riesca, o almeno provi a farlo, a togliere la cultura visiva giapponese, cinema e TV, dalle secche in cui sta languendo ormai da troppi anni. Naturalmente si sta qui parlando del livello generale e non dei singoli casi che continuano a rappresentare l’eccezione.

«Hibana» in questo senso sembra essere abbastanza promettente, almeno sulla carta, infatti i dieci episodi sono diretti da cinque registi diversi ma sotto la supervisione di Ryuichi Hiroki, autore che dopo un inizio nei pink eiga ha saputo mettersi in mostra a livello internazioanle con interessanti lavori come «Vibrator», «It’s Only Talk» e più recentemente «Tokyo Love Hotel», film che è passato lo scorso anno al Far East di Udine e che è attualmente in alcune sale italiane distribuito dalla Tucker Film.

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