“Sono nato nel ’61 a Birmingham, in Alabama”, racconta Randall Horton in un piccolo incontro col pubblico prima del concerto di Heroes Are Gang Leaders, “e l’esempio di Amiri Baraka è stato formidabile: beat, nazionalista nero, marxista, era impossibile sfuggirgli, Baraka è sempre stato all’altezza del suo tempo. Come insegnante cerco di fare in modo che Amiri Baraka non sia morto con Amiri Baraka”. Per Thomas Sayers Ellis, 55 anni, “con lavori come Il predicatore morto Baraka ha sviluppato un linguaggio suo, e ha messo in atto una critica dell’accademia: ha sempre corrisposto al clima della sua epoca”. Per James Brandon Lewis, 36 anni, uno dei jazzmen più in vista della nuova generazione, l’incontro con Baraka è avvenuto attraverso i libri letti da studente, Blues People, Black Music, Digging; poi ha avuto occasione di conoscerlo: “aveva una tale passione che non poteva lasciare indifferenti”. Impressiona rendersi conto della traccia che Baraka ha lasciato nella cultura afroamericana. Alle origini di Heroes Are Gang Leaders, un duo nato nel 2011: Ellis, poeta, fotografo e professore universitario, e Lewis, sassofonista e studente di musica, si sono incontrati in Florida ad un dibattito su “poesia e socialismo” e hanno scoperto di avere diverse letture in comune, fra cui alcuni libri di Baraka. Poi nel 2013 hanno avuto il privilegio di esibirsi in apertura di una performance di Baraka a New York. Quando meno di un anno dopo Baraka è morto, hanno deciso di montare un gruppo per rendergli omaggio: nome, Heroes Are Gang Leaders, dal titolo di un racconto compreso in una raccolta di Baraka, Tales, pubblicata nel ’67.

Adesso è appena uscito The Amiri Baraka Sessions (etichetta Flat Langston’s Arkeyes), frutto di sedute tenute fra il 2014 e il 2015. Nel frattempo Heroes Are Gang Leaders è andato oltre, ha sviluppato anche un repertorio non direttamente legato a Baraka e ha pubblicato alcuni Cd. Ma per la prima serata dell’edizione 2019 di Sons d’hiver, all’Espace Culturel André Malraux, e prima loro apparizione in Francia (in Italia non sono ancora stati presentati), sono tornati al loro progetto iniziale. Sul palco dodici elementi, con Thomas Sayers Ellis come timoniere: James Brandon Lewis, sax tenore, Heru Shabaka-Ra, tromba, Devin Brahja Waldman, sax alto, Melanie Dyer, violino e voce, Jenna Camille, pianoforte e voce, Brandon Moses, chitarra, Luke Stewart, basso, Warren Trae Crudup, batteria, Nettie Chickering, canto, Bonita Penn voce, Randall Horton, voce. Lo spettacolo si snoda tra free, rhythm’n’blues, funky, spoken word, impiegando con grande intelligenza e vivacità le possibilità offerte da un organico strumentale ampio e dall’alternarsi o combinarsi di canto e voci recitanti maschili e femminili.

Se non è facile al primo ascolto afferrare tutti i significati dei testi e i riferimenti a Baraka e alla sua produzione, Thomas Sayers Ellis è però bravissimo in veste di MC, di dicitore, di dinamico frontman dalle movenze e dalla mimica effervescenti, non solo nell’assicurare una grande godibilità allo show, ma nell’imprimergli uno spirito che appare davvero barakiano, nel brio, nell’estroversione, in quel gusto della parola che Baraka era abilissimo anche a portare in scena come performer. LeAutoRoiOgraphy è un brano che nel titolo gioca sul nome all’anagrafe, LeRoi Jones, di Baraka e sulla sua autobiografia, e ascoltandolo viene da pensare che ha la brillantezza del song di un musical, e che forse Ellis e Lewis a qualcosa del genere un pensierino dovrebbero farlo: su una vita come quella di Baraka un musical ci starebbe tutto.