La presenza di Hermann Nitsch a Milano, tra la fine e l’inizio degli scorsi mesi di novembre e di dicembre, non deve essere stata semplice per come è stato accolto dalle Iene Vegane, che hanno protestato contro i presunti maltrattamenti perpetrati contro gli animali dall’artista nella preparazione e realizzazione delle sue Orgien, avvenuta prima della lezione aperta tenuta all’Accademia di Brera (due video su youtube documentano il blitz https://youtu.be/30oXviP1tAQ; https://youtu.be/YXeJhaZ3bWk). E anche questa conversazione, svoltasi il giorno prima, ha avuto diversi motivi di incomprensione, dovuti soprattutto alla volontà dell’artista di parlare solo in tedesco affiancato da traduttrice di madrelingua, pur capendo bene sia l’italiano, sia un po’ d’inglese e francese. Ma come si dirà più avanti la chiave di lettura, superando momenti ironicamente imbarazzanti, si è trovata. Così si è evitato di gettare al vento la testimonianza di uno degli artisti, a torto o a ragione, più influenti degli anni ’60 e ’70: capofila di un gruppo capace di «inventare» dall’alta tradizione pittorica europea un movimento, il «Wiener Aktionismus», che fece dello scandalo e del sincretismo tra le arti e lo spettacolo, soprattutto il teatro e la performance lacerante, sanguinaria e automutilatoria dei corpi, la propria inconfondibile riconoscibilità stilistica.

Invitato dal Teatro Out Off per l’inizio delle celebrazioni del suo quarantennale avvenuto proprio il 30 novembre del 1976 con l’Azione n. 53, quando il teatro milanese era ancora in viale Montesanto, collocato in una cantina distante poche centinaia di metri dall’attuale sede in via Mac Mahon, che tenne a battesimo alcune delle espressioni artistiche più sperimentali e avanzate di quegli anni: dalla poesia di Nanni Balestrini alle sperimentazioni elettroniche di Alvin Curran per arrivare alla fine di quel decennio e all’avanzare degli anni ottanta al rapporto esclusivo intrattenuto con Giovanni Testori, con il drammaturgo che si faceva regista e attore in «In exitu» e teorico nel ciclo di conferenze «La parola come».

Ai saluti di rito, a conversazione quasi conclusa, all’improvviso tutto il discorso affrontato ha assunto estremo interesse, certificando il valore fino ad allora alquanto dubbioso sulla riuscita dell’intervista. Ed è stato Nitsch a tirar fuori, quasi fosse un post scriptum a ciò detto e che ha fatto sobbalzare chi lo stava ascoltando, una feroce critica al teatro di regia e ai «furti» in arte. I suoi strali sferzanti avevano un indirizzo preciso: erano i registi d’opera tedeschi e austriaci, mentre mostrava di non conoscere nemmeno un regista italiano: «Il teatro di regia mi ha rubato molto; registi famosi hanno cominciato ad imbrattare di sangue i palcoscenici. Hanno voluto drappeggiare con le loro idee i testi classici, recando non poca confusione tra un Parsifal e la vicenda dei rifugiati. Si sono appropriati di una ricerca che non era loro e doveva essere sviluppata in maniera differente».

Detto questo il discorso di Nitsch sul rubato in arte da parte del teatro merita una riflessione che può andare oltre l’estetica e approdare all’organizzazione drammaturgica di un testo o come lo stesso artista dice partitura. Non a caso l’aiuto arriva da una di quelle conferenze che Testori che tenne a metà degli anni ottanta, dunque dieci anni dopo l’azione di Nitsch, ancora al vecchio Out Off, in cui affermò che la parola teatrale nasce da una macchia di sangue. Dalla domanda che il drammaturgo si pone su quel lacerto umano, quello sputo, quel grumo, quello sperma che è o che è stato un uomo. Senza quella domanda il teatro non esiste.

Come ricorda la performance di quarant’anni fa?
Fu una bell’azione. Avevo molti amici in Italia. Alcuni erano collezionisti o galleristi, tra questi c’era anche Peppe Morra che a Napoli ha costruito tutto per me un museo (Alberto Castellano dà conto del Museo Hermann Nitsch di Napoli sull‘Alias dell’11 giugno del 2016). Sono stati questi amici a contattare e a curare l’organizzazione dell’Azione a Milano che si svolse in una specie di cantina. All’epoca parteciparono circa 20 persone, due pecore già morte furono macellate, c’era dappertutto sangue e intestini e suonava una piccola orchestra. Non ho mai fatto ucciso o fatto soffrire gli animali, ho usato sempre membra morte per il mio teatro. Comunque, rammento anche che al buio accendevamo delle fiaccole. L’azione fu molto lunga. Credo durò tre ore. Il pubblico era molto giovane all’epoca, tutto era come dire molto nuovo e a moltissimi ritengo che tutto ciò andasse molto bene. Fu ripeto un’azione molto riuscita.

Può dire come è passato dalla pittura alla performance?
Credo che fosse un fatto tutto mio personale. Mi sembrava che tutte le arti, teatro, musica, danza, teatro, andassero verso la performance. Già nel ’58 avevo abbandonato la pittura e avevo travasato nella mia ricerca delle strutture che andavano verso quella direzione e allo stesso modo andavano verso l’happening. In Germania c’era Vostell. Il Gruppo Gutai in Giappone. Così, allora, lentamente cominciò a manifestarsi a Vienna l’Azionismo.

Chi erano i suoi maestri e cosa guardava e studiava?
Ho studiato con entusiasmo tutta la tradizione dell’arte, la filosofia, la poesia. M’affascinava Georg Trakl come i Presocratici e Schopenhauer. Ma anche le dottrine religiose asiatiche: taoismo, buddismo. Devo molto alla lettura di Nietzsche che mi ha portato a dire moltissimo alla vita. L’intensità sensuale, erotica, sessuale dell’Azionismo deve molto a Freud. Credo di conoscere, di aver letto tutto Freud. Anche se il mio Teatro delle Orge e dei Misteri deve moltissimo ad un’opera come Totem e Tabù.

Può dire qualcosa sui suoi compagni di strada: Brus, Muhl, Schwarzkogler?
Con Brus eravamo amici intimi, lo stesso posso dire di Schwarzkogler. Mentre con Muhl c’era un minimo di competizione, ma non mancava un reciproco rispetto. Non facevamo gruppo, però eravamo esposti alle stesse situazioni e tutti e quattro privilegiavamo il gesto performativo e teatrale. Io di ogni azione ho una partitura perfettamente scritta. Tutta l’azione è scritta, l’improvvisazione è data dall’immaginare la performance.

Il corpo è ancora oggi contemporaneo?
Il corpo sarà sempre molto attuale, anche se non posso notare come quest’epoca abbia senza alcuna necessità instaurata nella relazione tra persone un eccesso di comunicazione che si sviluppa sopratutto attraverso la tecnologia e per me come uomo è difficile vedere ragazzi con lo sguardo fisso sugli schermi dei propri telefonini invece che parlare tra di loro.