Nella Vienna fin de siècle, Richard Hieck è un giovane matematico con ambizioni accademiche, alle prese con una dissertazione che si muove nella terra, ancora in larga parte incognita, della fisica quantistica. La sua famiglia è modesta e piccoloborghese: il padre, uomo solitario affascinato dall’ombra, è morto. Rimangono la madre inquieta, vedova troppo giovane che a fatica tiene a bada una fisicità sempre risorgente, il fratello Otto, che cerca risposte nell’edonismo, nel culto dell’amicizia e in un’inclinazione artistica flessibile, pendolare tra la pittura e la calcografia. Poi la sorella Susanne, in odore di farsi suora, vestale del kitsch religioso che ha trasformato la sua stanza in un tempietto-emporio saturo di paccottiglia sacra, così che la via mistica si impantana in un ciarpame di santini e immaginette. A margine, due fratelli fuggiti per il mondo. Questo il microcosmo familiare che fa da sfondo a L’Incognita, racconto lungo di Hermann Broch scritto nel 1933 in quadruplice stesura e spesso rimasto all’ombra degli scritti maggiori, ora pubblicato da Carbonio, con la traduzione e la brillante introduzione di Luca Crescenzi (pp. 182, € 14,50).

Contro lo sfondo familiare – fatto di vicende comprimarie e di possibili vie narrative che Broch avrebbe volentieri percorso se l’urgenza editoriale non l’avesse costretto a ritagliare la vicenda intorno al protagonista – si proietta la storia di Richard Hieck. Assecondato da impacci sentimentali ed emotivi, apparentemente uomo a una dimensione, Richard imbriglia l’interiorità nelle maglie della conoscenza astratta. Lo muove una devozione quasi mistica per la matematica, in cui vede la porta che immette alla piena conoscenza del mondo e alla totalità della vita. Il promettente studioso vuole e sa escludersi dalla realtà, calando su di essa la rete apparentemente cristallina della pura conoscenza. Per sfuggire all’ambiguità tumultuosa del padre, «uomo notturno capitato per caso in un mondo diurno», i figli prendono ciascuno una direzione a lui contraria: quella di Richard porta verso la chiarezza e la razionalità di ciò che è certo.

L’edificio, strutturatissimo e traslucido, della conoscenza logico-matematica è una personale via mistica, complementare a quella di Susanne ma meno dozzinale, che gli permette, in modo sublimato e quasi sovrumano, di inglobare ciò che è residuale, misurando palmo a palmo il terreno che oltrepassa la comprensione umana e la prevedibilità. Nella vertigine di una matematica che si allarga a comprendere l’intera catena dei nessi logici e a includere le distanze astronomiche, la via alla conoscenza di Richard vorrebbe domare il caos e l’imprevisto, nella smania di trasformare la pulsionalità in una distesa more geometrico demonstrata. Non ci riesce, e la vita, che lo accerchia di seduzioni, si palesa invincibile, affiorante, nel classico binomio amore-morte, come il dominio dell’incalcolabile, incognita eterna e mai determinata. Simile al Törless di Musil, di cui Richard Hieck è per più versi parente, lo homo mathematicus di Broch cerca, invano, un’igiene mentale e una disciplina dello spirito che possano riconfigurare il mondo.

Broch per primo, e a seguire la critica, hanno letto L’Incognita come un romanzo breve in tono minore, sempre giocato sull’opposizione dinamica tra scienza e letteratura, razionalità e il suo contrario, ma priva del respiro epico (o paraepico) e dell’ampia orchestrazione dei libri maggiori. Definito dall’autore stesso «romanzo dell’intellettuale», poi più volte incasellato nelle categorie strette del romanzo-saggio o del roman à clef, l’Incognita, in questa nuova traduzione che ridà freschezza a una lingua lirica e cavernosa, non priva di paludamenti, è invece, in piccolo, un esempio efficace della maniera di Broch, sempre aliena da languide malinconie decadenti e robusta nell’inseguire l’utopia, insieme chirurgica e febbrile, di una nuova totalità da costruire sulle macerie del nichilismo. Un francobollo narrativo che si piazza, come la precedente trilogia dei Sonnambuli e come la più tarda Morte di Virgilio, al crocevia tra letteratura, filosofia e scienza, rincorrendo l’idea di romanzo conoscitivo e quel titanico progetto di gnoseologia narrativa, destinato allo scacco proprio perché non arginabile.