Henry Salt (1851-1939) non ha mai goduto di grande notorietà, nonostante a suo tempo abbia scritto diversi libri a favore dell’emancipazione di coloro che la nostra organizzazione sociale rende più vulnerabili e più facilmente sacrificabili.

TRA QUESTI ebbe il merito di non dimenticare i non umani, tanto da coniare l’espressione «diritti animali» e da diventare uno «snodo» fondamentale nella storia dell’animalismo che, con lui, comincia a dotarsi di un background teorico sistematico e a pensarsi come movimento collettivo. Non si può, pertanto, che essere grati a Castelvecchi per aver reso disponibili alle lettrici e ai lettori italiane/i diverse opere di Salt, l’ultima delle quali, Una difesa del vegetarianismo e altri saggi (pp. 88, euro 13.50), uscì in edizione originale nel 1886.
Una difesa del vegetarianismo è composto da dieci saggi – agili ma incisivi – in cui Salt, polemizzando con gli avversari con tipico humour britannico, sostiene il valore di «una dieta riformata», di «una dieta senza carne», per arrestare la «strage indiscriminata» di animali e migliorare la società umana. Una volta chiarito che la dieta vegetariana non è incompatibile con la salute né, tantomeno, con la vita – era (e in parte lo è ancora) questa una delle obiezioni principali del «pregiudizio» di cui, come questi saggi non si stancano di ripetere, anche i cosiddetti specialisti non sono immuni –, Salt afferma che il vegetarianismo è «il più morale, il più salubre e il più economico» tra i regimi alimentari e che pertanto il «vegetariano» non è un «folle» o un «fanatico».

ANZI, UN’EGEMONIA vegetariana promuoverebbe un avanzamento sociale sia perché porrebbe fine agli «orrori del mattatoio» sia perché, riducendo i costi di produzione degli alimenti, contribuirebbe a ridurre la diseguaglianze alimentari («ricchi ipernutriti e poveri denutriti») e la conseguente «ondata migratoria dalla campagna verso la città».
Ovviamente, Salt non è così ingenuo da pensare che il vegetarianismo possa essere «l’unica riforma necessaria» – bisogna «andare al di là di una frugalità alimentare e porre su basi realmente eque l’intero sistema di produzione della ricchezza» –, ma è assolutamente convinto che, «senza di esso, nessun’altra riforma può avere successo in maniera reale e duratura».
Salt, come tutti, è figlio del suo ambiente (l’élite culturale britannica fin de siècle) e così la sua difesa del vegetarianismo è inficiata dall’idea che il cambiamento debba iniziare dalle classi privilegiate, che tale emancipazione sociale non possa che progredire in maniera «graduale» ma inarrestabile, che la società vada «ingentilita»– liberata dalla sua «animalità»! – senza metterne a repentaglio l’impianto. Del pari, la sua difesa degli animali non si smarca dall’antropocentrismo: «Se il vegetarianismo diventasse generale, verrebbero allevati soltanto alcuni animali e soltanto nella misura in cui servissero all’uomo; come, per esempio, le pecore, per la loro lana e i cavalli per il loro ruolo di bestie da soma».

Nonostante ciò, in questi saggi, che precedono di pochi anni il più radicale Animals’ Rights (1892), diverse sono le considerazioni che anticipano le acquisizioni dell’antispecismo più maturo. Se ad alcune abbiamo già accennato – l’oppressione umana e animale riconoscono una radice politica comune; la dieta carnea sopravvive grazie al lavoro di quelli che Althusser chiamerà «apparati ideologici di Stato», la famiglia e il «sapere» medico in primis –, un’altra va ancora sottolineata: la messa in luce degli espedienti simbolici e materiali a cui la struttura sacrificale ricorre per far dimenticare che «una volta il manzo era un bue, che la carne di montone una volta era una pecora e che quella di vitello e di porco erano, un tempo, rispettivamente un vitello e un maiale»; per occultare la «mattanza indiscriminata» che costituisce «l’origine del nostro cibo». Considerazione questa che verrà ripresa, approfondita e articolata da Carol Adams con l’elaborazione della nozione di referente assente.

LEGGERE OGGI – quando tutti dovrebbero aver compreso che le zoonosi possono facilmente evolvere in pandemie letali – Una difesa del vegetarianismo è un’esperienza ambivalente: da un lato si prova l’esaltazione che fu di Gandhi nel vedere, sotto l’arguta penna di Salt, le proprie intuizioni trasformarsi in «convinzione» e dall’altra la tristezza nel constatare che il «privilegio di specie» gode ancora di ottima salute, nonostante si fondi su «obiezioni triviali e poco serie».