Tutti i libri di Henry David Thoreau – quelli pubblicati in vita come quelli postumi – hanno radici in luoghi precisi: pensare e descrivere dove ritirarsi, passeggiare o perdersi era per Thoreau un lavoro di scavo nel particolare e al tempo stesso un modo per porsi domande più generali sul destino dell’uomo e dell’universo.

Ai suoi interrogativi «globali» Thoreau provava a dare risposta setacciando fisicamente e letterariamente quei luoghi che, pur distanti pochi chilometri dalla Concord dove trascorse la vita, erano in quei tempi ancora «selvaggi», luoghi dove la presenza umana restava discreta e in posizione subordinata rispetto alle forze della natura.
L’amore di Thoreau per i giochi di parole e le speculazioni etimologiche è in un rapporto di continuità con questo suo spirito «escursionista», e le «digressioni» della sua prosa altro non sono se non un assecondare questo desiderio di ex-currere, andare fuori dal seminato, o, come scrive in uno dei passi più celebri di Walden, di essere extra-vagante, vagabondare col pensiero e con il corpo oltre i recinti eretti dalla forze della civiltà.

È un dato di fatto, però, che quando si pensa alla natura di Thoreau la si immagina – soprattutto per via di Walden – come essenzialmente boschiva. Cape Cod – resoconto di alcune escursioni a piedi compiute in compagnia di William Ellery Channing tra il 1847 e il 1852 lungo questo «braccio nudo e piegato del Massachusetts … il polso a Truro e il pugno sabbioso a Provincetown» – dimostra viceversa che Thoreau era interessato al mare quanto alla terra ferma, alle spiagge sabbiose e sferzate impietosamente dal vento quanto alle foreste, alle vite dei pescatori di ostriche quanto a quelle dei boscaioli e dei contadini. Riproposto ora da La Vita Felice in un’edizione con testo a fronte, nella traduzione scorrevole di Francesco Gallavresi (pp. 486, € 16.50), Cape Cod è certamente il volume di Thoreau meno perlustrato dalla critica, eppure resta un libro importante.

L’attenzione «quasi maniacale», come annota Gallavresi nella sua introduzione, per «gli aspetti geologici e le diverse specie botaniche e animali» non deve farci perdere di vista che in questo testo Thoreau si propone di ridefinire il senso stesso dell’America. «Qui», come leggiamo sull’ultima pagina, «c’è la sorgente delle sorgenti, la cascata delle cascate…. Un uomo può stare qui e gettarsi tutta l’America dietro alle spalle».

Gettarsela alle spalle, sì, ma non tanto per dimenticarla quanto per capirla meglio. Mentre Walden e Una settimana lungo i fiumi Concord e Merrimack sono strutturate come quest romantiche e spirituali, Cape Cod – sin dal primo capitolo titolato, «Il naufragio» –, si interroga sui molteplici significati del Nuovo Mondo, a cominciare da quello mai raggiunto dagli emigranti irlandesi annegati dinanzi a quel lembo di terra.
Dinanzi all’immensità di un oceano che per Thoreau è sublime e «selvaggio» quanto lo era per Herman Melville («questo stesso placido oceano… scaglierà crudelmente qua e là questi vascelli, li farà in pezzi con le sue mascelle sabbiose e rocciose e spedirà i loro equipaggi ai mostri marini»), l’America si rimpicciolisce e gli esseri umani perdono tutta la loro hybris di conquistatori. «La riva del mare è una sorta di terreno neutrale, il posto più favorevole per contemplare questo mondo…. Avanzando lungo la spiaggia senza fine tra meduse e la spuma, capita di pensare che anche noi siamo il prodotto della melma marina».