«Fin quando potrò contare pochi palmi della mia terra …. Fin quando avrò memoria, una piccola libreria… fin quando nel mio paese ci saranno parole arabe … e canti popolari … fin quando avrò i miei occhi, le mie labbra, le mie mani… le mei parole saranno pane e armi… », cantano le Banat al Quds / Daughters of Jerusalem in Ma Damat Li («Fino a quando avrò»), liriche del poeta e giornalista di origine drusa Samih Al-Qasim (1939-2014), poeta della resistenza e dell’esistenza, su musica della cantautrice Zeinab Shaath. È una delle canzoni contenute in Henna. Young Female Voices from Palestine, un album che raccoglie una nuova generazione di artiste palestinesi sulla scia della compianta Rim Banna. A produrre questo lavoro è l’etichetta norvegese Kirkelig Kulturverksted (www.kkv.no), con il sostegno del ministero degli esteri del Paese scandinavo.

A FONDARLA nel 1974 è stato il produttore e autore Erik Hillestad, improntando il suo lavoro di discografico a progetti solidali e alla salvaguardia dei diritti umani, dall’Ecuador al Sud Africa, dall’Iran alla Turchia e alla Corea. Nel 2000 la KKV ha messo su il Kulturkirken Jakob nel centro di Oslo, in una vecchia chiesa neogotica del 1880, precedentemente in disuso, che è stata convertita in un luogo per musica, arti visive e spettacoli teatrali. Nel 2004 la label diede alle stampe Lullabies from the Axis of Evil, un album che alludeva alla retorica discorsiva dei Paesi dell’«Asse del Male» propugnata da George W. Bush, per collezionare una serie di ninna-nanne tradizionali cantate da donne iraniane, irachene, siriane, libiche, cubane, nord-coreane, afghane e palestinesi e da artisti internazionali come Nina Hagen, Sarah Jane Morris e Rickie Lee Jones, Eddie Reader e Lila Downs. La raccolta comprendeva anche due brani palestinesi cantati da Rim Banna che la KKV ha prodotto fino alla sua prematura scomparsa nel 2018. Un anno dopo la ricordava con la pubblicazioni di sue composizioni rivisitate in R.I.M.I.X., mentre un anno fa è stato pubblicato When the Waves, un album della cantante di Haifa Terez Sliman.
Insomma, una relazione intensa con la cultura palestinese rinsaldata da Henna – Young female voices from Palestine (pubblicato a maggio 2021), un album il cui titolo richiama la tintura naturale rossa usata per le decorazioni del corpo e che in Palestina è spesso usata per adornare le spose, che intende promuovere le giovani artiste palestinesi, non solo consentendo loro uno spazio produttivo e mediatico ma incoraggiando «la scrittura, la registrazione e la performance di più canzoni originali palestinesi», come parte di un «tentativo di creare un’identità unica per la musica palestinese».

Così scrive, presentando il lavoro, Suhail Khoury, musicista di rango e di primo piano nell’attuale scena musicale in Palestina. Compositore, suonatore di flauto ney e di clarinetto, Khoury è stato determinante nello sviluppo della vita musicale della Palestina negli ultimi due decenni. Attualmente è il direttore generale del Conservatorio Nazionale di Musica Edward Said, istituto di formazione musicale che è parte dell’Università di Birzeit.

Una mattina di un anno fa, Khoury, insieme a sua moglie Rania Elias, direttrice del centro culturale Yabous di Gerusalemme, ha dovuto subire in casa, l’assalto da parte della polizia israeliana e di personale dell’agenzia delle imposte, che ha condotto a una brutale perquisizione, all’arresto e alla confisca di materiali a causa di una falsa accusa mirante a screditare eccezionali organizzazioni culturali. Tutto accadeva poco prima che in uno studio del Conservatorio Edward Said a Ramallah, creato sempre in collaborazione con la KKV, iniziassero le registrazioni di Henna.

IL RUOLO di Khoury è stato cruciale nella scelta delle artiste che presentano le loro canzoni, in stile cantautorale di taglio acustico ma con un piglio contemporaneo. Un’estetica differente dalle vibranti espressioni di resistenza culturale che prendono la forma dell’hip hop o della dabke elettronica e che pure fioriscono nei territori e nella diaspora. Le canzoni utilizzano strumenti tradizionali come il qanun, la cetra trapezoidale su tavola pizzicata, il liuto arabo ‘ûd, il flauto di canna ney, il liuto a manico lungo buzuq e le percussioni accanto a pianoforte, chitarra, violino, violoncello e contrabbasso. Sono canzoni che riflettono sulla vita di fronte all’occupazione, ma che lasciano trapelare volontà di resistenza e speranza

.Delle Banat al Quds, coro di trenta voci di Gerusalemme Est diretto dallo stesso Khoury, si è già detto, le altre artiste sono Nour Freteikh da Nablus, Hanin Alijlah da Gaza, Samira Kharoubi da Gerusalemme, Nancy Hawwa da Ramallah, Henna Haj Hassan da Jenin, Ehsan Saadeh dal Al Jib, Miral Ayyad da Abu Dis.
Se Samira Karaoubi (classe 1991) che canta Zahratan («Due fiori»), composta da Khoury su liriche di Jalil Khazal, è in un certo senso la veterana del gruppo con una presenza significativa nella scena musicale di Gerusalemme est da molti anni, Miral Ayyad, non ancora ventenne, suonatrice di qanun e studentessa di musica araba a Birzeit, colpisce per il suo timbro flessuoso nella poetica Oyoun al Narjas («Gli occhi di Narciso»), canzone scritta da Azzah Zarour e Mahmoud Awad («Non avrei potuto amare / Se tu non fossi tornato ai miei occhi dopo la lunga assenza»).

HENNA HAJ Hassan è un’altra vocalist che si impone nei modi classici della canzone araba di Yammi Qultillek («Madre ti ho detto»), in cui è accompagnata da qanun, flauto e percussioni. L’album si chiude con un brano eseguito dal coro Banat al Quds, che in Gaza – su versi del poeta, dramaturgo ed educatore di Ramallah Wasim Kurdi e musica del maestro Khoury – cantano «Oh onda nel mare/ Portami una candela da accendere sulle rocce e asciuga le lacrime».