C’è un ragazzo nero, con una chitarra scura e i capelli lunghi non ancora cotonati, che s’avventura per scale blues e accompagnamenti pesanti. Sono Jimmy James and Blue Flames, uno di questi gruppetti del sottobosco soul di locali, night club, ritrovi un po’ desolati della sterminata provincia statunitense. Fanno alcuni brani originali e delle cover afroamericane. Il chitarrista ha un sacco di dubbi sulla sua voce, tra il pubblico una bella ragazza, Linda, amica di musicisti famosi.

È la partenza di Jimi: all is by my side, il film di John Ridley che ha aperto la decima edizione del Biografilm Festival di Bologna, presentato al festival di Toronto e in uscita in sala in autunno, uno sguardo sghembo e inedito su uno dei grandi innovatori della storia del rock.

La leggenda racconta che John Ridley (Oscar per la sceneggiatura di 12 anni schiavo) abbia deciso di fare un film sul chitarrista di Seattle dopo aver scoperto una sua registrazione minore, un brano intitolato Sending My Love to Linda. La bella Linda Keith (interpretata da Imogen Poots) all’epoca fidanzata di Keith Richards dei Rolling Stones (che per lei scrisse Ruby Tuesday), capace di plasmare e trasformare quel diamante grezzo, d’iniziarlo alle droghe sintetiche (la goccia verde di Lsd su una zolletta di zucchero), di scuoterlo dal suo pigro torpore esistenziale quasi privo di ambizioni , mettendo in campo le sue importanti conoscenze (da Andrew Loog Holdham a Paul McCartney e tanti altri) per convincerlo ad abbandonare il suo paese e trasferirsi nella swinging London, l’unico luogo del pianeta in grado di apprezzare la sua strabiliante fantasia sonora.
Nei panni di Jimi l’attore e musicista André Benjamin ossia André 3000, bravissimo e molto somigliante al Voodoo Child, da vent’anni animatore del duo hip hop degli OutKast (e diventato un’icona mondiale nel 2004 con il successo del singolo Hey Ya!, col memorabile videoclip dove interpretava tutti e otto gli eccentrici protagonisti di una band), sbarcato dapprima a Hollywood con Four Brothers di John Singleton, poi con Revolver di Guy Ritchie e il flop di Idlewild, e ora con un’interpretazione magistrale di uno degli artisti da sempre considerati più irrappresentabili sul grande schermo, soprannominato al suo apparire dalla stampa inglese «il selvaggio del Borneo» (per i capelli a foresta e il look originale oltre che per la furia indemoniata dei suoi show).

Prodotto da Danny Bramson, dirigente discografico di esperienza, il film si concentra su due anni particolari, il 1966 e il 1967, dai suoi timidi esordi in non indimenticabili band di rhythm ’n’ blues fino alla vigilia della sua trionfale apparizione al festival di Monterey nel 1967, quella della chitarra bruciata, anche per alcuni ostacoli insormontabili incontrati lungo il cammino. Ad esempio l’impossibilità di utilizzare le musiche originali, per esplicito divieto della Fondazione Hendrix che neppure ha autorizzato l’opera. Tuttavia, pur mancando, la fantasmagorica cascata di note e gli assoli di Hendrix, ci sono però un’impeccabile ricostruzione di ambienti e atmosfere, anche grazie a un sapiente uso dei materiali d’archivio (dalle apparizioni tv a frammenti di documentari del periodo, da Radio Caroline a Tommy Pudding).

L’atmosfera freak dei 60 viene resa bene dalla telefonata in «collect call» – ovvero a carico del destinatario – di uno squattrinato Jimi «smascherato» dal padre che non crede alle rassicuranti giustificazioni del figlio. In una delle scene più coinvolgenti, Chas Chandler, bassista degli Animals con la vocazione del manager che sta cercando di convincerlo a lasciare New York per Londra («impazziranno per quello che fai tu» gli dice Chandler ) Hendrix gli risponde: «Non voglio farmi etichettare, farmi dare del musicista blues o soul o rhythm and blues. I generi sono delle gabbie, io voglio che la mia musica arrivi all’anima delle persone, che riescano a percepirla come gli occhi vedono i colori, che la vivano come un viaggio nella fantascienza».

L’altro tema principale è il rapporto con le donne, con una sua fidanzata da lungo tempo, Kathy Etchingham (Hayley Atwell) con cui divide eccessi esistenziali e feste giovanili, l’acquisto della famosa giubba militare coi bottoni dorati e nottate di bollente passione («Lo sai che sei una piccola furba rubacuori/ Furba/ E sai di essere una piccola dolce artefice d’amore/ Furba» dice il testo di Foxy Lady, ispirato proprio dalla groupie dai capelli rossi) ma pure le vertiginose accelerazioni sonore, dall’incontro fortuito con la band di Eric Clapton dove Jimi chiede di poter suonare insieme e sale sul palco dicendo «Sono un vostro grande fan, grazie della possibilità» e tempo un quarto d’ora, tra svisate e riff accelerati, rende incandescente la temperatura del pubblico in sala con Clapton che abbandona il palco e gli lascia completamente la scena.

Oppure Jimi coi bigodini a casa che cura e lucida la sua Stratocaster bianca in preparazione delle agitate session in studio, la nascita degli Experience con relative audizioni, i dialoghi tra ragazzi ingenui nei pub e i litigi con i produttori discografici. Fino alla conclusione tra gli universi psichedelici di «foschia purpurea», Purple Haze.