I Ninja Theory, società di sviluppo videoludico guidata da Tameem Antoniades con base a Cambridge in Inghilterra, è stata lodata dalla critica per giochi come Heavenly Sword e DmC: Devil may Cry, ma è stata penalizzata da un basso livello di vendite. Invece di perdersi d’animo e lanciarsi su produzioni più commerciali e sicure, Ninja Theory ha tirato fuori dal cassetto un gioco come Hellblade: Senua’s Sacrifice che si può acquistare in digital download in versione PS4 sul Playstation Store ed in versione PC su Steam e su GOG al costo di un “indie”: € 29,99. Del resto il suo stesso autore, Tameem Antoniades lo ha definito un “Independent AAA”, cioè una produzione tecnicamente al livello dei maggiori blockbuster videoludici, ma sviluppato e proposto in modo indipendente, senza cioè il supporto di un produttore.

Il risultato è un gioco estremamente affascinante e personale (esattamente nel senso che si userebbe ad esempio per un film) per quanto anzi forse proprio perché imperfetto. Il tema del videogioco è la follia. Non date retta a chi sostiene sia un tema assente nei videogiochi: lo ritroviamo da Alice: Madness Returns (di cui American McGee sta accingendosi ad un seguito) fino all’italiano The Town of Light, passando per la depressione dei civili in tempo di guerra di This War Of Mine o dell’alcolismo e delle allucinazioni indotte dalla droga di Max Payne. Ma certamente Hellblade, assieme a The Town of Light, ne fa l’elemento centrale dell’esperienza videoludica. Mentre il gioco italiano raccontava di una paziente internata nel Manicomio di Volterra all’inizio del Novecento, il titolo Ninja Theory ci porta a seguire il viaggio di Senua, pazza per il dolore causata dalla perdita dell’amato Dillon, nelle dosolate lande della mitologia nordica. Per quanto in entrambi la ricerca grafica sia accurata, la resa in Hellblade è assolutamente a livello di quella di un gioco commerciale e il gameplay non si limita alla soluzione di enigmi (sostanzialmente l’individuazione di rune che permetteranno a Senua di aprire le porte) ma offre al giocatore il confronto con demoni e divinità che fanno da custodi all’ultraterreno reame di Helheim. Senua si aggira in questa terra di morte, distruzione e disperazione portando attaccato alla cintura il teschio dell’amato e intorno a lei, invisibili ma mai silenziose le voci che l’ammoniscono, la dileggiano, la sollecitano… Utilizzando le cuffie come consigliato all’inizio del gioco, queste voci aleggeranno anche attorno al giocatore identificandolo ancor di più con la protagonista (anche se l’audio è solo in inglese ed in italiano sono disponibili sottotitoli).

Senua esplora le lande di Helheim accompagnata dallo spettro del bardo che narra le storie degli invasori del nord che hanno sacrificato ai loro dei sia il suo amato Dillon sia la madre di Senua per la follia e le visioni colpevoli a detta del prete fin troppo simile ad un inquisitore di diffondere l’oscurità nel mondo. Quella stessa oscurità che sale dalla mano destra (quella che brandisce la spada) di Senua ogni volta che soccombe ai demoni. Un’oscurità che causerà il gameover definitivo se raggiungerà il suo capo.

Il punto debole di Hellblade sono però proprio i combattimenti: non perché siano facili, anzi soprattutto contro i boss dovremo sudare le proverbiali camicie, ma perché la difficoltà è affidata alla quantità piuttosto che alla varietà. Di fronte alle nostre limitate possibilità (colpo veloce, colpo potente, schivata, parata e respinta da mischia con la possibilità d’inanellare combo utilizzando il giusto timing e di utilizzare il potere della luce che rallenta i mostri dell’oscurità) i demoni sono relativamente lenti e costituiscono un problema solo quando continuano ad apparire in gruppo cercando vigliaccamente d’attaccarci alle spalle (furtunatamente abbiamo sempre qualcuna delle voci che continuano a sussurrarci anche durante i combattimenti che tempestivamente ci avverte), sfruttando anche la non eccessiva ampiezza delle arene. In questo senso non è che i combattimenti siano semplici, il problema è che si ripetono sostanzialmente uguali. Di per se non sarebbe un gran difetto, se non ché, anche a fronte della semplicità degli enigmi, quello del combattimento è l’unico vero elemento di gameplay su cui si basa la “videoludicità” di Hellblade per differenziarsi da un “racconto interattivo” (quale sostanzialmente invece è The Town Of Light). Nonostante ciò ogni volta, sia che vinciamo, sia che soccombiamo agli scontri, lo strazio sul volto di Senua ci strazia e ci fa anelare con lei la fine del viaggio, che magari non sarà strappare l’amato dal mondo dei morti ma forse solo por fine alla sofferenza che monumentalmente la tormenta.

E se poi dovessimo riconoscere nell’io al di fuori della simulazione qualcuna delle angosce che tormentano Senua, Ninja Theory ci suggerisce associazioni di ascolto ed aiuto perché le voci eventualmente nella nostra testa non ci distraggano/distruggano come fanno con Senua.