E adesso che cosa faranno le conigliette? Non sarà un lutto facile per le ragazze che continuavano a frequentare le ville con piscina di Hugh Hefner a Chicago e Beverly Hills. La morte del fondatore di Playboy, avvenuta mercoledì 27 settembre a 91 anni, segnerà quasi sicuramente la fine delle feste durante le quali lui, in pigiama di seta e bicchiere di whisky, amava farsi ritrarre circondato da una folla di ragazze adoranti e in costumi succinti.

Tuttavia la Playboy Enterprises, diretta dal figlio Cooper, gli sopravviverà, forte dell’impero che il padre ha costruito e che, nonostante gli alti e bassi e la chiusura dei club, edita Playboy in oltre 20 Paesi e rende più di un miliardo di dollari l’anno grazie alla vendita di prodotti con il marchio Playboy.

QUANDO iniziò sul tavolo della sua cucina 64 anni fa, per trovare i soldi del primo numero, quello con una Marilyn Monroe in copertina per nulla discinta, Hefner diede in garanzia i mobili di casa. Il resto lo raccolse con una colletta fra amici e parenti. Il suo sesto senso gli diceva che c’era un mercato enorme per un magazine maschile, tuttavia non numerò il primo numero, forse per scaramanzia. Le vendite gli dettero ragione e cominciò il successo di Playboy.

Evidentemente, la parte maschile della bacchettonissima America dell’epoca, era il 1953, non vedeva l’ora di lustrarsi gli occhi con servizi fotografici che, allora, puntavano più sull’erotico vedo-non-vedo che sul nudo.

I benpensanti cercarono di mettersi di traverso in ogni modo, come quando le Poste si rifiutarono di consegnare Playboy agli abbonati e lui dovette rivolgersi alla Corte Suprema appellandosi al Primo Emendamento, quello che garantisce la libertà di espressione e parola. Vinse.

Negli anni successivi si battè anche contro le arcaiche «leggi sulla sodomia» sostenendo che il governo non aveva il diritto di entrare nella camera da letto degli americani.

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Per questo i movimenti per i diritti gay gli sono riconoscenti. Il mix di servizi fotografici a bellissime donne, copertine dedicate ad artiste che mai ci si sarebbe aspettati di vedere su Playboy come Barbra Streisand o Joan Baez, ma anche alle donne del governo Usa nel 1980, o a quelle di Wall Street nell’89, interviste a personaggi quali Miles Davis, Marlon Brando, Fidel Castro, Malcom X, Martin Luther King, l’ingaggio di scrittori come Gabriel Garcia Marquez, Ray Bradbury, Jack Kerouac, Jan Fleming, Margareth Atwood, Kurt Vonnegut diedero a Playboy la patente di una rivista interessante da leggere oltre che piacevole da sfogliare.

Hugh Hefner con alcune playmates nel 1966 (foto Playboy/PA Wire)
Hugh Hefner con alcune playmates nel 1966 (foto Playboy/PA Wire)

Michele Capozzi, regista e pornologo italiano che ha vissuto per circa quarant’anni a New York, ha conosciuto Hugh Hefner a una festa a Los Angeles e di lui dice: «Era un signore molto cordiale, gentile e non se la tirava per nulla. Ricordo che quando lo intervistai in occasione del primo Misex a Milano, nel 1994, parlammo per oltre un’ora soprattutto di tette, la parte anatomica femminile che amava di più. Non gli interessava se i seni erano naturali o aiutati, l’importante era che fossero abbondanti, così come aveva una predilezione per le bellezze di tipo californiano, bionde, alte e slanciate. Per un certo periodo ho anche frequentato una coniglietta che mi ha sempre parlato bene di lui».

E poi c’è una confidenza che gli fece Hugh Hefner. «Mi disse che fra le ragioni che lo avevano spinto a cominciare ce n’era una molto semplice. Le foto erano il mezzo più facile per incontrare un sacco di belle ragazze, e poi magari andarci a letto. Come dargli torto?».

L’altra invenzione di successo legata a Playboy furono i club omonimi che lanciarono le conigliette il cui costume è diventato l’icona di un tipo di donna molto poco vestita e ammiccante.

Il body di raso nero, le calze a rete, il farfallino, il pon pon bianco sul sedere, le orecchie da bunny, se molte di noi sarebbero disposte a indossare tutto ciò forse solo a carnevale, just for fun, una tale mise era per i frequentatori dei Playboy club come il miele per le api.

L’idea di quel costume non fu però di Hugh Hefner, ma di una donna, Ilsa Taurins, allora fidanzata di Victor Lowens, direttore della promozione di Playboy.

Il primo club aprì a Chicago nel 1960, in breve ne seguirono altri nelle maggiori città americane, poi all’estero, finché nel 1991 la catena chiuse. C’è stato un tentativo di ritorno a Las Vegas, Macao e Cancun fra il 2006 e il 2012, ma è durato poco e ora resta una lounge dedicata alle conigliette solo nel casinò di Las Vegas.

I tempi cambiano, lo storico concorrente di Playboy, Penthouse, fondato nel 1965 a Londra da Bob Guccione è fallito nel 2013, Hugh Hefner ci ha lasciato, la sua primogenita, Christie, dopo aver guidato l’azienda per oltre vent’anni dal 2009 si occupa solo di beneficenza, pare folgorata sulla via di Barack Obama.

Davvero, che ne sarà ora delle conigliette?