Si affannano a lanciare ammonimenti i dirigenti dell’Autorità nazionale palestinese. Le uccisioni avvenute negli ultimi giorni di due soldati israeliani, a Qalqilya e Hebron, non devono pregiudicare i negoziati, hanno ripetuto quasi in coro. «Sono cinque i palestinesi uccisi negli ultimi due mesi durante scontri con l’esercito israeliano nei campi profughi di Qalandia e di Jenin ma abbiamo sempre proseguito le trattative» ha detto il portavoce del governo palestinese Ehab Bessaiso. Un aggrapparsi a negoziati senza futuro che lascia perplessi non pochi palestinesi. Senza contare il disinteresse (o l’opposizione) che gli israeliani, a partire da alcuni ministri, provano verso gli Accordi di Oslo del 1993. Le ultime morti di palestinesi e israeliani sono la prova dell’insostenibilità delle intese firmate venti anni fa e di una situazione insopportabile che il premier israeliano Benyamin Netanyahu e lo scomparso presidente palestinese Yasser Arafat crearono nel 1997 accordandosi sulla “spartizione” in due parti, H1 e H2, di Hebron, una città palestinese che non vuole rimanere spaccata a metà.

Ingenti forze militari e di polizia sono impiegate per imporre la presenza di 500 coloni israeliani, tra i più fanatici, nella zona H2, quella con la biblica Tomba dei Patriarchi, che costringe oltre 20 mila palestinesi a vivere rintanati in casa, che ha causato la chiusura di centinaia di negozi e altri locali e la morte lenta di un suq arabo tra i più antichi. Dall’altra parte, nella zona H1, vive il resto della popolazione palestinese (130 mila abitanti). Il sergente Gabriel Koby, 20 anni, ucciso domenica a Hebron, a quanto pare da un cecchino palestinese, aveva lasciato la sua casa a Tirat HaCarmel nel nord di Israele per andare a morire nel sud della Cisgiordania occupata in una città che resta divisa per ragioni ideologiche, per soddisfare il nazionalismo religioso dei coloni, nel silenzio-assenso degli Stati Uniti e dell’Unione europea. «Chi tenta di cacciarci con la forza dalla città dei nostri Patriarchi otterrà l’opposto – ha detto Netanyahu – Continueremo a combattere il terrorismo con una mano, mentre rafforziamo le colonie con l’altra». Quindi è scattata la ritorsione. Il primo ministro ha dato il via libera all’occupazione da parte dei coloni della “Casa di Machpela”, una struttura edilizia di Hebron vicino alle tombe dei Patriarchi, sgomberata dall’Esercito l’anno scorso su ordine della Corte suprema israeliana. E cinque ministri, guidati dall’ultranazionalista Naftali Bennett, hanno chiesto a Netanyahu di «riconsiderare», ossia di bloccare, la prevista liberazione di alcune decine di prigionieri politici palestinesi prevista nelle prossime settimane, nel quadro delle misure decise per la ripresa dei colloqui diretti tra Israele e Anp.

In tutta Hebron ieri sono stati attuati rastrellamenti alla ricerca del “cecchino” che ha ucciso il soldato Koby al termine di una giornata che aveva visto oltre 10 mila israeliani, quasi tutti coloni provenienti da vari insediamenti colonici, visitare la zona H2 in occasione dei riti per la festa ebraica del Sukkot (Tabernacoli). In precedenza erano scoppiati scontri su entrambi i lati della città divisa, nella zona di Bar Zawiyeh. Una testimone italiana, S., che ha chiesto di rimanere anonima, era a tre metri da Koby quando è stato colpito. «Il soldato, giovanissimo, era appena arrivato per il cambio di turno, dopo gli scontri in città che andavano avanti dalle 11 del mattino – racconta –, ero presente in zona con altri internazionali per fare interposizione». Nel tardo pomeriggio, aggiunge S., la situazione si è calmata, per molti minuti c’è stato un silenzio assoluto. «In quel momento il soldato è arrivato sul posto e poco dopo l’ho visto accasciarsi a terra e portarsi le mani alla gola. È stato subito soccorso da altri militari che gli hanno spostato le mani dal volto: ho visto che aveva un piccolo foro sul lato sinistro della gola. Ma non ho sentito nessun rumore, nessuno sparo». Koby poi è stato messo su una jeep militare, mentre i presenti sono stati portati in una clinica lì vicino. I soldati hanno ordinato al personale medico palestinese di chiudere l’entrata. S. e gli altri sono rimasti bloccati per due ore. Tutta Hebron è stata dichiarata dall’esercito israeliano “zona militare chiusa”. Sono cominciati i rastrellamenti. «Ho visto file di uomini e ragazzi palestinesi portati fuori dalle loro case, legati l’uno all’altro con una corda», conclude S. La caccia all’uomo fino a ieri sera non aveva portato a risultati e in città sono scoppiati nuovi scontri tra militari israeliani e palestinesi. Fonti locali hanno riferito di arresti e di alcuni feriti tra i dimostranti palestinesi.