La Turchia di Erdogan ha ripreso a bombardare il popolo curdo. Lo ha fatto nella notte tra il primo e il due febbraio colpendo aree comprese tra il nord-est della Siria e l’Iraq senza risparmiare il campo profughi di Makhmour nel Kurdistan iracheno.

L’operazione, denominata «Aquila d’inverno», è stata condotta dal rais per colpire il Pkk, Partito dei lavoratori del Kurdistan, da sempre nel mirino politico e militare di Ankara che continua ad accusarlo di terrorismo, malgrado nessun tribunale Ue o internazionale abbia ritenuto il Pkk un’organizzazione terroristica. E malgrado il nostro Paese avesse concesso l’asilo politico ad Abdullah Ocalan, a conferma della volontà di pace e non certo di terrorismo del fondatore del Pkk, detenuto in totale isolamento in un carcere turco da oltre 20 anni.

Pochi giorni prima del bombardamento, la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato la Turchia accogliendo il ricorso di 40 deputati del Partito Democratico dei Popoli (Hdp), formazione che unisce forze filo-curde e della sinistra curda, che si erano rivolti alla Corte per violazione dei loro diritti civili e politici.

I parlamentari curdi sono, e sono stati, una spina nel fianco del governo di Erdogan che aveva approvato una modifica costituzionale con cui gli venne tolta l’immunità parlamentare. Quattordici di loro sono stati arrestati e gli altri accusati di reati inesistenti pur di allontanarli dalla politica. L’immunità parlamentare è stata revocata solo e soltanto per le loro opinioni politiche. Un autentico attacco ai loro diritti fondamentali, in particolare la libertà di espressione e riunione cosi come previsto dagli articoli 9,10,11 e 18 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo.

La Corte di Strasburgo ha respinto le eccezioni presentate dal governo turco dando ragione ai parlamentari estromessi e riconoscendo la violazione dell’articolo 10 della Convenzione che tutela la libertà d’espressione e di opinione.
La sentenza del primo febbraio scorso è importante, non solo per la pena pecuniaria e il risarcimento dei danni, ma soprattutto perché è la conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, di come la Turchia non rispetti i diritti civili, umani e politici dei suoi cittadini.
La decisione di Strasburgo è definitiva e vincolante perché la Turchia fa parte del Consiglio d’Europa, ma le ultime sentenze della Corte europea dei Diritti dell’Uomo – basti pensare ai casi di Osman Kavala e Selahattin Demirtas – non sono mai diventate effettive perché la Turchia si è sempre rifiutata di attuarle. Ennesima dimostrazione dell’arroganza del presidente turco.

La Turchia di Erdogan non solo non è degna di far parte dell’Unione europea – e ormai ogni sua velleità di candidatura si può dare per accantonata – ma neanche del Consiglio d’Europa e dell’Alleanza Atlantica. Ogni giorno che passa crescono gli interrogativi su quali basi possa continuare ogni forma di collaborazione con uno Stato autoritario che perseguita i suoi cittadini, le sue minoranze e chi siede legittimamente in Parlamento. E questo non vale solo per l’Italia ma anche per l’Unione europea. La geopolitica e la «real politik» non possono giustificare tutto, ricordando peraltro che la Turchia è da tempo un partner inaffidabile anche su questi versanti, basti pensare al ruolo di Erdogan in Libia che certo non va nella direzione di restituire pace e democrazia a quel Paese.

La comunità internazionale è in grande debito con il popolo curdo, abbandonato da decenni, ma nessuno sembra voler ridare a quel popolo la pace e la libertà che merita. Non dimentichiamolo anche noi.

*Vicepresidente commissione affari costituzionali dell’Europarlamento