Non c’è nulla di più antipatico che giustificare la Haute Couture chiedendosi se esistono nel mondo molte donne che al valore, pure alto, del prêt-à-porter preferiscono l’abito su misura che costa milioni di dollari. È antipatico chiedersi se è plausibile, nel 2014, che esistano delle Maison che spendono milioni per preparare show e collezioni e rispondersi che tutti questi investimenti trovano la loro ragione di essere nei fatturati che generano abiti fatti a mano incrostati di pizzi e di pietre preziose.

Ci si deve arrendere all’evidenza che la Haute Couture ha una ragione di essere per il fatto stesso che c’è. Che sia sperimentazione, conservazione, nostalgia, perpetrazione di riti e di miti, poco importa. Tutt’al più, il dubbio è come una espressione elitaria per disponibilità economica ma moderna per la sua esclusività si inserisce in un mondo che i riti e i miti li consuma e li sopporta per poco tempo.

Occorre chiedersi, invece, qual è il senso di questa Couture che, come si è visto nelle sfilate appena concluse a Parigi, si risolve ancora in una continua realizzazione di abiti da sera destinati alla proliferazione globale dei red carpet. Che è il riflesso di una comunicazione dell’immagine della moda inventata alla fine degli Anni 90 quando, tramontato il fenomeno delle top model, le attrici sono diventate testimonial volitive dei marchi della moda. L’idea di una Haute Couture moderna sarebbe, invece, quella di realizzare un guardaroba su misura che serve per vestirsi dal mattino alla sera. Il fatto che un guardaroba così costerebbe milioni di euro non è certo il problema che si pone chi un guardaroba così lo pretende.

E, a quanto dicono i dati, a pretenderlo sono in molte donne nel mondo. Stefano Sassi, CEO di Valentino, dichiara che «Le clienti dell’alta moda di Valentino hanno in media 40 anni, quest’anno hanno portato un aumento del 35% del fatturato tanto da dover aumentare anche gli organici degli atelier».

Se produce ancora occupazione, quindi, si tratta di un settore vivo in cui il problema della compatibilità con il presente se lo pongono anche i couturier. Raf Simons presenta la sua collezione per Dior dicendo: «Mi è sembrato più moderno andare a rileggere un passato lontano, piuttosto che modernizzare lo spirito degli ultimi decenni», e ha mischiato elementi del vestire dal 1700 alla moda spaziale. Anche Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli dicono che con questa collezione per Valentino: «volevamo fare i conti con il passato dell’alta moda», e hanno fatto abiti che raccontano la bellezza più come valore che come esibizione.

Alla fine dei ’90, fu proprio Valentino Garavani a presentare una collezione di Couture fatta solo di abiti da giorno: disse che voleva marcare il cambio del secolo e dimostrare che Couture e abito da sera non sono sinonimi. Fu una delle sue sfilate più applaudite e, purtroppo, uno degli insegnamenti meno seguiti.
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