È sempre una forzatura dividere i periodi storici in compartimenti stagni, ancor di più quando si parla di decenni, i movimenti storici si muovono raramente in modo uniforme e spesso si interpenetrano e mischiano nel tempo. Detto questo, esistono delle eccezioni, particolari anni o opere che meglio di altre riescono a cristallizzare questi mutamenti nel loro svolgersi. Proprio in questo periodo quaranta anni fa, usciva nelle sale un lungometraggio che nel tempo è diventato un vero e proprio film di culto in Giappone, tanto perché affronta temi esistenziali validi in quasi tutte le epoche, il singolo ed il suo posizionamento nella società, quanto perché cattura la complessa situazione della società giapponese del tempo. Il sei ottobre 1979 debuttava nei cinema dell’arcipelago Taiyo wo nusunda otoko (The Man Who Stole the Sun), un lavoro davvero unico. Il film è il secondo lungometraggio diretto da Kazuhiko Hasegawa e a tutt’oggi rimane l’ultima opera diretta dal regista, il debutto avveniva nel 1976 con The Youth Killer. Hasegawa negli anni successivi si sarebbe dedicato principalmente al lancio di registi emergenti, anche se in più di qualche occasione provò a dirigere altre pellicole, ma sempre senza fortuna.

PER CELEBRARE questo anniversario il Shinbungeiza, un cinema di Tokyo, ha dedicato proprio il 6 ottobre scorso una nottata a Hasegawa, con le proiezioni di due film a cui collaborò come aiuto regista nei primi settanta e, appunto, degli unici suoi due lungometraggi come regista.
The Man Who Stole the Sun è un’opera davvero unica, due ore e mezzo di black humor e satira quasi nichilista con un forte tocco surreale che non risparmia niente e nessuno. I media, i politici e la politica, la polizia e soprattutto il periodo della guerra fredda e la posizione che il Giappone occupava al tempo. Ma non si tratta di un film comico ed anzi rimane molto serio nei temi trattati, le vicende di un giovane insegnante di scuola superiore che decide di costruire una bomba nucleare e minacciare Tokyo ed il governo giapponese. Il film fu scritto da Leonard Schrader, fratello del più noto Paul , che visse per molti anni in Giappone e che si occupò della sceneggiatura di altri lungometraggi sia giapponesi che statunitensi. I due protagonisti, Bunta Sugawara e Kenji Sawada, incarnavano al tempo due generazioni differenti e lo spaesamento e la quasi surreale relazione fra i due, il primo è un poliziotto, mentre il secondo è l’insegnante, va di pari passo con il senso di deriva che molta parte della popolazione giapponese stava attraversando dopo la stagione del forte e massiccio impegno politico dei sessanta e primi settanta.

IL FILM, che occupa il nono posto nella classifica delle migliori pellicole giapponesi di tutti i tempi stilata dalla rivista Kinema Junpo nel 2009, è rimasto famoso anche perchè una delle scene finali, che si svolge durante la manifestazione del partito comunista il primo maggio 1979, fu girata senza permessi e l’aiuto regista, un giovane Kiyoshi Kurosawa, gettò delle false banconote da un palazzo per una scena del film, scatenando una vera e propria ressa nelle strade. Alcuni degli elementi che più contribuiscono a donare al film quel fluttuante mix di tonalità che lo rendono unico e godibilissimo ancora oggi, sono senza dubbio la musica, realizzata da Takayuki Inoue, ed un o stile visivo che sorprende scena dopo scena, pop, sperimentale, ma anche che strizza l’occhio al cinema di genere. Su The Man Who Stole the Sun ci sarebbe da dire e scrivere molto di più, il fatto che Hasegawa fosse nel ventre della madre quando la bomba fu sganciata a Hiroshima nel 1945 è solo un altro livello da cui si potrebbe affrontare il lavoro, e meriterebbe decisamente di essere più conosciuto, anche al di fuori dei confini giapponesi.

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